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ZUBIN MEHTA & FILARMONICA DELLA SCALA

Milano | Teatro alla Scala | 9 febbraio

“Quattro movimenti!” sottolinea con gentile fermezza Zubin Mehta, quando il pubblico scoppia in un applauso fragoroso quanto automatico al termine del primo tempo della Quarta. Senza farsi subito capire, perché la stessa cosa accadrà dopo il successivo Adagio, ma perché non darne una lettura in positivo? A riempire la Scala in ogni ordine di posti è l’evento benefico a sostegno dello sforzo congiunto di due fondazioni, l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri e l’Istituto Weizmann di Scienze, uniti nella lotta contro l’Alzheimer. Che la platea riunita per la serata sia poco avvezza ai concerti sinfonici non è certo un male, anzi: se oltre ad aiutare scienza e salute l’occasione è propizia per portare Beethoven a nuovi ascoltatori, la cosa non può che essere di buon auspicio. Quanto al sommo direttore indiano, il suo ingresso sul podio e il carisma della sua conduzione hanno la modesta, essenziale eleganza di sempre: non una posa di troppo, niente enfasi nei gesti, solo la pura fedeltà di un servitore della musica. L’ouverture Egmont introduce un programma impegnativo, specie considerando i tempi ridotti che ha di solito un direttore ospite per lavorare con l’orchestra: un nutriente antipasto che scorre con molto mestiere, una o due piccole incertezze negli attacchi non ne pregiudicano l’espressività eroica che idealmente si collega alla Terza Sinfonia; ma prima di questa, come si è detto la Filarmonica della Scala è guidata nell’esecuzione della Quarta, spesso ingiustamente trascurata, schiacciata com’è tra due colossi del sinfonismo romantico. È qui che si coglie la miracolosa abilità del Mehta concertatore sopraffino, che dettaglia con meticolosa precisione i piani sonori, lasciando cantare la compagine milanese senza sacrificare nulla all’equilibrio delle masse sonore. L’Eroica arriva poi, dopo un breve intervallo, a rapire – non importa se per la prima o per l’ennesima volta – con la fierezza dei suoi tempi mossi e la pensosa dignità della sua marcia funebre: se i venti di guerra soffiano ancora alle porte dell’Europa, i popoli inermi non possono dare risposta migliore del tuono della loro musica.

ENRICO RAMUNNI

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