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WILLIAM BASINSKI

Padova | Palazzo Liviano | Sala dei Giganti  | 13 aprile

The Great Rock ‘n’ Roll Swindle, verrebbe da dire, ma diamo per certo che nulla è stato… pre-registrato al caso e che il texano – meglio sarebbe chiamarlo il Cavaliere Elettrico, vista la mise – ha realmente esercitato la reverita e superba arte del loop davanti al suo amato registratore a nastro. A dire il vero credo sia stato un concerto memorabile a causa della brevità, dello scarso impatto emozionale e della zero empatia trasmessa. Vari sono stati i fattori che hanno segnato una netta demarcazione tra le attese, giustamente notevoli, e il risultato. La location era delle migliori, uno spazio adibito fin dal lontano trecento a salone dei ricevimenti. Un luogo che non è stato però adattato all’occasione, rimanendo per tutta la durata del concerto fievolmente illuminato dalle decine di lampadine accese nei tre enormi lampadari appesi all’alto soffitto. Un impianto luci inesistente, azionato a caso e praticamente invisibile a causa della seppur fievole luce che incombeva costantemente in sala. Stesso discorso vale per i visuals che proprio non apparivano se non come ombre indefinite e sbiadite sugli splendidi affreschi commissionati dai Carraresi, signori di Padova, qualche centinaio di anni or sono. Luci e visuals sono assolutamente basilari in un contesto come questo, basta guardare qualche video recente del nostro per capire come solitamente lavori immerso nella totale penombra, illuminato solamente da fasci di luce a dalle immagini che scorrono alle sue spalle coprendolo completamente, fino a trasformarlo in una sorta di alieno luccicante. Questo forse il motivo della sua mise glam. Il perché di tale mancanza rimane un mistero. Ma veniamo alla musica; perno della serata era l’ultimo progetto di Basinski, quel ‘Shadow in Time’ dedicato ai suoi più intimi ricordi legati a due amici scomparsi, di cui uno assai famoso. Un loop che si perde nel tempo, azzerandolo e capovolgendolo, una peculiarità insita nel meraviglioso lavoro del texano. Durante l’ascolto si inseriva un altro loop, vecchie registrazioni che, una volta tagliate e montate, hanno mostrato notevoli assonanze con la b-side di un singolo di Bowie. Da qui il famoso Requiem per David Robert Jones aka David Bowie che tutti attendevano. Chissà, forse il pubblico si aspettava un Heroes in versione ambient-noise-loop o forse informazioni come queste si dovevano dare ad un’audience magari non avezza alla complessità musicale di un artista per nulla semplice, che ama ‘giocare’ con i nastri magnetici, le registrazioni e i noises ma che si porta dietro un bagaglio tecnico e musicale di tutto rispetto. Per godere a pieno l’estrema bellezza delle continue ondate di suono che si abbattevano lungo l’infinito ho dovuto chiudere gli occhi e scordare dov’ero… purtroppo non è bastato.

Mirco Salvadori

ph Stefano Gentile

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