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WAR HORSE

 

Steven Spielberg

 

Ci sono tutti gli ingredienti per un grande film che può passare alla storia, ma bisogna essere ben disposti, preparati ad aprire il proprio cuore e lasciarsi un po’ andare. Solo così si verrà travolti dalle emozioni di questa pellicola, come investiti da un fiume in piena.

L’Inghilterra di inizio secolo scorso, la povertà, gli agricoltori con i loro valori, l’arrivo della grande guerra, la tragedia, il ritorno, il tutto narrato attraverso le vicissitudini di un cavallo.

Anche in questo caso siamo di fronte a una sceneggiatura tratta da un omonimo romanzo, di M. Morpurgo; stavolta non ha inventato nulla quel genio di Spielberg, ma ha saputo rendere  molto efficace e coinvolgente una storia estremamente appassionante ricorrendo a momenti e dir poco epici ed evocativi. L’inizio della vicenda, nelle verdi campagne del Devon, (la cui fotografia richiama alla mente li grande cinema di John Ford) vede il giovane Albert Narracott che alleva il suo cavallo Joey, acquistato al di sopra delle proprie possibilità dal padre (interpretato da Peter Mullan (lo ricordate come attore in “My name is Joe” di Ken Loach e come regista di magnifici film come “Orphans” e “Magdalene”), un uomo in rotta con il proprio passato, e in conflitto con il cattivo proprietario terriero, ma con accanto una Emily Watson che ben impersonifica il ruolo di moglie, madre e forte donna inglese.

I Narracott, nonostante la fiera opposizione di Albert che oltre ad avere instaurato un grande rapporto affettivo, consegue sempre più successi nell’allevamento e nell’educazione di Joey, si trovano costretti a cedere il purosangue per monetizzare e affrontare le difficoltà economiche. Il cavallo così finisce proprietà di un ufficiale che lo conduce con sé in quella che poi si rivelerà la guerra mondiale con il più altro tributo di caduti pagati per la causa.

Scena di guerra indimenticabili, che nulla hanno da invidiare a “Salvate il soldato Ryan” tra le colline e le trincee del nord Europa sempre con Joey protagonista nel bene (per salvarlo dopo essere rimasto impigliato in un filo spinato tra le trincee inglesi e tedeschi arrivano persino a dialogare e a contenderselo) e anche nel male perché supera se stesso anche quando finisce nelle mani di un cinico prussiano che vede gli animali solo come esseri da sfruttare o ancora dopo essere stato protetto da due giovani disertori germanici che saranno poi giustiziati.

Dopo un’altra serie di momenti intensi e appassionanti Joey riesce a tornare a casa, per la gioia, ma soprattutto per il sollievo di tutti noi che lo abbiamo accompagnato soffrendo per due ore e mezza affrontando con lui  guerra, fame, sofferenze e distacchi.

E forse proprio questo il miglior pregio del film, come già in altri Spielberg riusciamo a vivere intensamente e a far battere il nostro cuore all’unisono con gli accadimenti della pellicola, una cosa non da poco, di questi tempi.

Ricordiamo che la Colonna sonora è del grande John Williams e che il film gode della candidatura a ben 6 statuette.

 Fabio Vergani

 

 

 

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