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VAPORS OF MORPHINE

Brescia | Latteria Molloy | 12 novembre

Al di là dl contorno di superlativi, di analisi formali e di collocazoni storiche, i Morphine ti mettono spalle al muro perché sono fra i pochissimi gruppi che non hanno mai sbagliato un pezzo. Assistere live alla loro versione 2.0 (i “Vapors of Morphine“), ancorché naturalmente priva del leader Mark Sandman, è un’esperienza.

Il trio di Boston, oltre a proporre brani estratti dal recente A New Low, rispolvera una lunga serie di istant classic degli anni ’90, esaltando i numerosi fans radunatisi nella Latteria. Jeremy Lyons onora la memora di Sandman dimostrandosi attore consunato e bassista dal sound personalissimo; Colley è un superbo virtuoso del sassofono tenore e Deupree è percussionista dallo stile personale, cui piace spazializzare i suoni, ricamare arzigogolati intrecci ritmici quasi in sordina, senza strafare (eccezionale l’uso calibratissimo dei piatti).

Lo stile della band, il suo marchio di fabbrica, è sempre inimitabile: i Morphine – e non l’abbiamo scoperto il 12 novembre a Brescia – hanno coniugato una forma di canzone d’autore senza precedenti, al confine fra blues notturni, jazz metafisico, atmosfere scarne. Musica dall’impatto emotivo impareggiabile che miracolosamente aggira ogni forma di enfasi e di spettacolarizzazione gratuita.

Basso a due corde e sassofono tenore, sulla carta, non possono accordarsi alla perfezione, eppure la loro combine suona senza sbavature: il celebre giro di Good è una scarica di adrenalina, nonostante il cantante assomigli a un Tom Waits meno nervoso e più sonnolento del solito. Quasi ogni brano è storia: dai cambi di passo soffici di You Look Like Rain alle atmosfere rassegnate e dolenti di Cure For Pain, passando per i riffs blues-rock (veri e propri hook) disseminati ovunque (Claire, la straordinaria The Saddest Song, il ritornello immortale della romantica Candy, per chi scrive forse il loro capolavoro), l’esibizione è una manna dal cielo per chiunque sia innamorato di questi cieli nebulosi ma intensi.

I pezzi recuperati dal repertorio più recente non possono reggere il paragone, ma conservano un certo fascino: i Morphine forse hanno perso un briciolo di genio e di originalità, ma restano in grado di cesellare blues-rock formalmente impeccabili, impreziositi da solo in odore country della chitarra. Ballate che sembrano uscite dalla penna di un Dave Eugene Edwards (Sixteen Horsepower) meno ultraterreno e posseduto.

La cover di Baby’s On Fire di Eno, restituita in una versione ancor più astratta, e il miracoloso giro di Buena, che scatena le danze del pubblico, chiudono un concerto memorabile.

Francesco Buffoli

ph Daniele Di Chiara

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