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UN FILM SU DAMO SUZUKI

Milano | Palazzo Litta | 13 ottobre 

Nell’ambito di una manifestazione culturale dedicata al Giappone in corso a Palazzo Litta a Milano, dove è allestita anche la mostra fotografica The Yokohama Project 1867-2017 di Giada Ripa, il 13 ottobre scorso è stato organizzato un evento musicale che ha visto come protagonista Damo Suzuki. Cantante dei Can dal 1971 al 1973, dopo gli anni trascorsi con la band krautrock tedesca Suzuki ha abbandonato la scena musicale per undici anni, per farvi poi ritorno con una sua personale e originale idea di musica e di performance dal vivo. Dagli anni ’80 Damo Suzuki si esibisce in concerti che lo vedono sul palco insieme a vari musicisti locali, chiamati ‘sound carriers’, di volta in volta diversi a seconda della città in cui si trova a suonare. Non ci sono prove in sala, spesso i musicisti si incontrano per la prima volta poco prima dell’esibizione, e i concerti sono totalmente basati sull’improvvisazione, per cui ogni performance è imprevedibile e ogni concerto diventa unico e irripetibile. È il Damo Suzuki’s Network, la rete internazionale aperta che realizza l’idea dell’artista di origine giapponese, ma dagli anni ’70 residente in Germania, del processo creativo musicale come mezzo di comunicazione e del concerto come momento di incontro dei flussi di energia portati dai diversi ‘sound carriers’ e dal pubblico presente.

Questa idea di network musicale, di rete aperta, è il soggetto del film documentario Neverending, diretto da Francesco Di Loreto, presentato a Palazzo Litta e dedicato alla figura di Damo Suzuki. Sebbene il documentario non trascuri gli esordi di Damo come cantante con i Can, è il punto di arrivo attuale nel suo percorso di evoluzione musicale l’aspetto che il regista privilegia. La narrazione alterna immagini girate ai concerti, spesso riprese direttamente dal regista e dalla sua assistente Samantha Vecchiattini che hanno seguito Damo in tour, a scene in cui il protagonista si racconta o altre persone raccontano di lui, a cominciare dalla sua compagna Elke Morsbach, la quale nel ricordare il primo disco ricevuto in regalo da Damo, ne usa il titolo per definire efficacemente la vita del musicista: Methaphysical Transfer. Il tono del documentario è lieve e intimo. Damo è ripreso spesso in casa, mentre cucina per i suoi amici, un’attività che evidentemente ama e che difatti paragona alla musica, affermando che in cucina come in musica non ci sono risposte, non è come in una partita di calcio in cui c’è un risultato oggettivo, ma tutto dipende dal gusto di chi ascolta. E aggiunge che nell’arte culinaria per cucinare buoni piatti è preferibile usare gli ingredienti locali, proprio come fa lui nella musica scegliendo di suonare sempre con i musicisti del posto. La sua musica è per lui totalmente assimilabile alla natura, è un processo creativo continuo e in costante mutamento e, in quanto tale, non avrà fine. Questa sua concezione, espressa alla fine del documentario, ne ha ispirato il titolo.

Damo Suzuki è stato spesso in Italia, dove ha suonato con musicisti come Manuel Agnelli e Xabier Iriondo degli Afterhours, Enrico Gabrielli dei Calibro 35, e ai network realizzati nel nostro paese viene dato ampio spazio nel documentario (com’è ovvio anche perché il regista è italiano), con immagini tratte dai concerti di Milano, Torino e Roma.

Anche nella serata organizzata a Milano si è tenuto un concerto del Damo Suzuki’s Network. Dopo la proiezione del documentario, svoltasi alla presenza di Damo, del regista e di Xabier Iriondo, nella suggestiva cornice del cortile di Palazzo Litta e con la piacevole temperatura autunnale di questo ottobre, Damo Suzuki ha suonato con i ‘sound carriers’ italiani Alessandro “Asso” Stefana (chitarrista di P.J. Harvey e di Vinicio Capossela) alla chitarra, Giovanni Ferraio al basso, Enrico Gabrielli (P.J. Harvey, Calibro 35) ai fiati e Andrea Belfi alla batteria ed elettronica. Emozionante e indimenticabile come ogni suo live.

Rossana Morriello

 

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