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ULAN BATOR

Ritorno magico 

Ricorre ciclicamente, tra le mie letture, quel pamphlet metafisico che è Time Wave Zero del mai troppo compianto Terence McKenna, opera sommamente visionaria che ci riporta a preordinati frattali temporali e ad una strana gerarchia di un tempo spiraleggiante, una forma d’onda che corre verso un futuro sempre più surreale, ostico e per certi versi apocalittico, ma proprio per questa sua caratteristica, dunque atto ad esser letto per leggibilità iperrealiste, da occhi leggermente iniettati di sangue. Questa realtà vivida, di una consapevolezza bruciante, è la stessa che da sempre ritrovo nei dischi degli Ulan Bator. Quando cerchi di interpretare un disco della band francese, ecco che subito qualcosa sprofonda nei recessi del subconscio, e poi d’incanto, agganciata una nuance scura – lo spleen del disagio –, ecco che un attimo dopo essa esplode nella primavera sporifera dell’eterna giovinezza. Lo stesso spiazzamento ci impone l’ultimo Abracadabra, con la qualità che è propria del sacro, tra meraviglia e timore. Quattro chiacchiere con il deus ex machina della band, Amaury Cambuzat…su Rockerilla 428 Aprile ’16 l’intervista di Gioele Valenti.

 

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