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TRUST

Bologna | Locomotiv Club | 10 Febbraio

C’era parecchia attesa, sui social network, per il ritorno in terra italica della creatura di Robert Alfons. Due album come “TRST” (2012) e “Joyland” (2014) hanno innalzato il frontman di Toronto in cima alle preferenze di parecchi cultori di musica alternativa. A iniziare la serata ci pensano i bolognesi Kreativ In Den Boden che, giocando in casa, hanno un loro piccolo seguito. Autori di una witch house visionaria e dai forti tratti tribal-esoterici, accompagnano la loro performance con dei visual mistico-religiosi d’effetto, proiettati sulla parete del palco. Li avevo già visti a Padova di supporto ai teutonici No More, e allora, devo ammetterlo, mi piacquero di più. Questa volta, pur apprezzando la loro declinazione europea dell’estetica Salem, mi lasciano più di qualche dubbio, soprattutto a causa delle continue stonature del cantante. Sarà l’emozione nell’aprire un serata simile? Non mi è dato sapere. I Welcome Back Sailors, provenienti da Guastalla, si presentano sul palco in quattro e assai grintosi, soprattutto il cantante, che col suo mezzo falsetto si dimena in modo esagitato, cercando di animare un pubblico che sembra poco interessato. Autori di un dream pop basato su sintetizzatori e su riff di chitarra molto elementari, non mi ricordano nulla di particolare, se non una anonima versione di tante band anglo-americane salite sul carrozzone di recente. Riescono a strapparmi più di qualche sbadiglio, ma il loro set si conclude presto. Il D.J. incaricato di aprire a Trust si comporta decisamente meglio delle due band di supporto, infilando un poker micidiale di brani electro-dark (Sixth June, Ladytron, Absolute Body Control, Keluar) giusto per far capire al pubblico che l’atmosfera è radicalmente cambiata. Con un ritardo di quasi un’ora Trust si presenta sul palco quando la mezzanotte è già scoccata da una decina di minuti. Rispetto a quando l’avevo visto allo Xoyo di Londra, Alfons si presenta con i capelli cortissimi, mentre le due musiciste che lo accompagnano lo seguono, defilate, sullo sfondo: la tastierista a sinistra e la batterista, in piedi e con l’immancabile cappellino, a destra. Il canadese parte in quarta con “Sulk” giusto per far provare l’ebbrezza della velocità. La sua musica, un concentrato di elettronica spacey, synth pop anni ‘80, future pop vagamente cyber e qualche tamarrata da discoteca (la techno-maranza di “Geryon” è irresistibile) viene regalata ad un pubblico caldo e ben disposto, che apprezza la verve animalesca del cantante, che saltella per il palco con la consueta carica di adrenalina. L’allestimento di luci e fumo è minimale ed assolutamente funzionale alla performance proposta, in cui a dominare è il falsetto del tenebroso Robert. Canzoni come “Shoom”, “Icabod” e “Capitol”, autentici zenith dello show, mandano in visibilio il pubblico, che, nelle prime file, balla come fosse ad un after hour di qualche disco romagnola dei primi Anni ’90. Alcune canzoni vengono presentate con arrangiamento arricchito e diversificato rispetto all’originale, e viene presentato pure un brano inedito (dovrebbe trattarsi di “Craves”) che si fa apprezzare. Il finale è da brividi, con una “Are We Arc?” che fa apprezzare l’eclettismo e il talento del suo autore.. Attendo con impazienza il nuovo disco e un nuovo ritorno in Italia.
Emanuele Salvini

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