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Thurston Moore, 8/12 Roma

A seguito dell’uscita dell’apprezzato disco solita Demolished thoughts arriva a Roma Thurston Moore, stavolta senza (e pare definitivamente) i suoi Sonic Youth.

Ben prima che i (bravi) Tall Firs aprano la serata con il loro folk la nostra attenzione viene catturata dalla presenza sul palco di un’arpa, che unita alla certa presenza di un violino (che conosciamo dal disco) ci spinge a chiederci come si sposeranno questi strumenti con la musica noise di Moore.

La risposta è che si, l’amalgama funziona: il delicato ed originale mix tra folk cantautoriale e origini punk-noise che tanto bene era stato miscelato su disco da Beck regge bene anche dal vivo, regalando l’inconsueto spettacolo di vedere un’arpa ed un violino partecipare a vari muri di suono. Ma il concerto nonostante la verve rockettara del nostro non è un concerto punk, del resto il Nostro è vestito in giacca e cravatta e il pubblico stesso si scalda fino ad un certo punto.

Intendiamoci, chi è presente non lo è per sbaglio, ma per la ragione di vedere uno dei pochi musicisti che possano davvero affermare di aver cambiato il rock: questa voglia di esserci prescinde dalla conoscenza dei progetti solisti (4, non molti in vent’anni) e dunque nessuna canzone è accompagnata da grande trasporto.

Se ne accorge anche un raffreddatissimo Thurston Moore, che scherza e gioca coi kleenex ed indice un mini-concorso su chi siano i romani Dino e Toni cui sembra dedicare il concerto: la scaletta messa in palio viene vinta da un ragazzo, che se abbiamo capito bene risponde citando una nota trattoria romana.

Al rientro dal primo bis Thurston Moore si toglie giacca, cravatta e resta in una camicia troppo lunga per poter stare fuori dai pantaloni: ma questa foggia, la cortina di capelli che ha sul viso ed i pezzi che riserva per la fine ci fanno ritrovare quel meraviglioso looser punk cui tanto dobbiamo noi della Generazione Sonica.

Testo e foto di Roberto Esposti

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