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THE TWILIGHT SAD

No One Can Ever Know

Fat Cat

Non era certo un album come questo, ciò che ci si aspettava dai The Twilight Sad. E non tanto per l’accento scozzese di James Graham, di per sé elemento inconfondibile, quanto per una direzione sonora inedita e coraggiosa. Lo zampino di Andrew Weatherall si fa sentire in queste compisizioni glaciali, con un epico senso di desolata e rassegnata lucidità e la consapevolezza che le cose non andranno a finire per il meglio. Così, tra folate di tastiere e chitarre post-industriali, ci si muove verso riferimenti precisi, sospesi tra Cabaret Voltaire, New Order e tante altre cose d’annata. In questo modo ci si tiene ben lontani dallo scimmiottare pericolosamente Editors e Interpol: sicuramente un punto a favore della band. Ma a conti fatti sembra mancare qualcosa tra i suggestivi arpeggi di Sick o il rigoroso distacco di Dead City. No One Can Ever Know rischia di piacere a molti, grazie a una naturale capacità di costruire una tensione pulsante e un certo disagio emotivo che Graham sapientemente distribuisce tra i brani. Eppure non si perde mai la sensazione di trovarsi in un ambiente d’artificio, che non intacca l’onesta propensione della band, ma l’abbandono sensoriale all’ascolto. L’ultimo appello, così, si perde sui synth di No Sleeping, che resta in attesa di una svolta qualsiasi e sulla melodia di Another Bed, che passa vicino a dei Muse meno spocchiosi, adocchia le aperture liriche dei Depeche Mode e rimane se stessa, sì, ma senza estasiare.

Paolo Dordi

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