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TEHO TEARDO

Le Retour à la Raison | Padova, Cinema Excelsior | 29 aprile

Sovrapposizioni, percorsi che si intrecciano lungo i corridoi abbandonati di un vecchio cinema in disuso.

L’immancabile birra venduta all’entrata dentro un opaco bicchiere di plastica, porta con sé le note di uno dei migliori lavori del 1982: If I Die I Die, micidiale coltellata tribale dei Virgin Prunes. È quell’indimenticato canto pagano che accoglie il perenne assetato di musica mentre si inoltra in quella che un tempo era una sala di proiezione.

Sovrapposizioni, percorsi che si intrecciano lungo i corridoi abbandonati di un vecchio cinema in disuso che improvvisamente zittisce, invaso dal buio, trasformandosi per magia nel Teatro Michel della Parigi degli anni ’20 mentre lo spettacolo inizia. Le retour à la raison, Emak-Bakia, L’Etoile de mer, il silente e surrealistico bianco e nero di Man Ray che acquista ulteriore dimensione onirica grazie alla musica. Elena De Stabile al violino e Stefano Azzolina alla viola, Teho Teardo ad imbracciare la sua Fender quasi fosse una sorta di macchina del tempo che riesce ad unire con il suo inconfondibile timbro, il passato al presente.

Sovrapposizioni, percorsi che si intrecciano lungo i corridoi abbandonati di un vecchio cinema in disuso mentre noises che arrivano da lontano vanno a definire il raggio d’azione di un musicista che sa viaggiare seguendo itinerari diversi, portandosi appresso quel carico di esperienze e ricordi incisi su nastri magnetici impolverati, vecchi ed invisibili macchinari nascosti nei circuiti sonici che Teardo attiva in modalità sequenziale. Ripetizioni che creano unicità partendo da lontani echi di selvaggio suono industriale per passare poi attraverso l’uso dei più disparati oggetti – una performance nella performance dedicata ad un novello concetto di ready-made – cui dar voce in loop. Creare droni circolari su cui poter adagiare la fluidità della composizione finita, colma di traboccante e irresistibile armonia. Musica come Sperimentazione, Ricerca, mentre sullo schermo si avvicendano le immagini che hanno contribuito a dare un senso a questi vocaboli.

Sovrapposizioni, percorsi che si intrecciano lungo i corridoi abbandonati di un vecchio cinema in disuso dove passeggia l’immortale Kiki de Montparnasse nascosta dietro lenti rese torbide, barriere di vetro graffiato che non permettono la sua traboccante visione se non scrutandola con gli occhi dell’ascoltatore. Il suono amalgama, riveste di nitidezza un incerto percorso onirico ripreso anche da Wenders in quel suo viaggio fino alla fine del mondo, il capo chino con gli occhi fissi su visori riflettenti immagini indistinte, quelle dei sogni. Un cammino via via sempre più inquietante e indefinito. Dadaismo e surrealismo si confondono sciogliendosi nel dolce ardore di un suono che trasporta il fruitore fin dentro lo schermo, trasformandolo in uno scassinatore alla ricerca del significato da svelare prima che il buio in sala finisca.

Sovrapposizioni, percorsi che si intrecciano lungo i corridoi abbandonati di un vecchio cinema in disuso, testimone di un’occupazione elettrica del palco mentre le luci si accendono e 23 chitarristi salgono sulle sue assi per celebrare quello che sarà il mantra dei mantra, una tempesta elettrica dedicata alla fine, una fine amplificata e contenuta in un’unica sola azione musicale iterata da 24 chitarre elettriche che colloquiano con la viola ed il violino. Un saluto totale che può esser letto quale punto di non ritorno, come una sorta di ‘Decline and Fall’, o come “…marcia finale del ‘900” (così spiegata dall’autore), o come tabula rasa elettrificata sulla quale far vagare la propria introspezione con i sui fantasmi e i suoi ricordi.

Sovrapposizioni, percorsi che si intrecciano lungo i corridoi abbandonati di un vecchio cinema in disuso che saprà custodire gelosamente gli echi di un concerto colmo di mistero e grazia, le stesse caratteristiche che contraddistinguono le movenze di una ètoile de mer.

Mirco Salvadori

 

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