TCHAIKOVSKY’S WIFE
Regia: Kirill Serebrennikov
Per chi studiasse Tchaikovsky, sono due i punti salienti della sua biografia: la sua grandezza come compositore ed il rapporto più che disastroso con la moglie, Antonina Miliukova.
Serebrennikov – regista dissidente russo ed unico della sua nazionalità ammesso dalla giuria di Cannes 2022, la cui opera viene presentata qui come prima italiana – si cimenta nella narrazione di queste dinamiche con risultati francamente molto altalenanti.
D’impatto, ciò che colpisce del film è la totale mancanza di tatto ed empatia verso protagonisti e comprimari. Tchaikovsky ed Antonina si muovono su linee parallele: il compositore cementa ad ogni piè sospinto un colossale egocentrismo, mente la consorte fa del suo rapporto una ragione di vita e si aggrappa con tenacia al suo destino di moglie di Tchaikovsky come se fosse una missione divina. Perchè è questo il fulcro, non c’è mai una vera e propria tensione coniugale: la lente dell’obiettivo segue da vicino le mosse di Antonina in maniera unilaterale, restituendo un ritratto crudo della sua discesa nella follia che si fa sempre più rapida man mano che la luce del marito si allontana per via della sua omosessualità. Ed è da quest’osservazione che è lecito chiedersi da che parte stia il film. La telecamera segue ogni passo di Antonina, restituendo un punto di vista estremamente personale; eppure le sue azioni sono ricalcate sui resoconti che Tchaikovsky stesso dà del suo rapporto coniugale, dell’ossessione della donna per la mancanza di carnalità, senza dare spazio ai resoconti scritti di suo pugno da Antonina nel periodo tra il 1897 ed il 1917 – che forse avrebbero redento la sua figura, o almeno dato una profondità altrimenti assente al suo strazio. E più Antonina si sente rifiutata, più il film spinge il pulsante della sessualizzazione: una sequela di nudi (ottimamente coreografati!) che forse servono a delineare l’ossessione della donna, ma che in vacuo hanno il sentore di sterili esercizi stilistici senza alcun impatto sull’avanzamento della trama dei ben 140 minuti di pellicola.
Serebrennikov ha capacità indiscutibili per quanto riguarda la composizione delle scene. Il regista russo tesse un arazzo sfarzoso entro il quale ogni inquadratura è arrangiata ad arte, a tal punto che anche lo squallore della povertà moscovita di fine ‘800 si colora di esuberante sfarzo barocco – uno sforzo estetico non indifferente.
Eccezionale anche la performance di Alyona Mikhaylova nella parte della protagonista: rendere credibile l’ossessione e allo stesso tempo la freddezza d’animo di una donna determinata a vivere in funzione di un’altra persona senza strafare è difficilissimo – e la sua è una prova convincente e, nell’accezione migliore possibile, profondamente disturbante.
Tchaikovsky’s Wife è stato proiettato in anteprima al Cinema Massimo di Torino venerdì 24 febbraio (SEEYOUSOUND 9) e uscirà sugli schermi nazionali prossimamente, distribuito da Arthouse di I Wonder Pictures. Eugenio Palombella