TALKING HEADS
Remain In Light Sire
Remain In Light, oggi rimesso a nuovo per questa bella ristampa in vinile rosso rubino, non è solo un monumento alla gioia della danza liberatoria, ma frutto di intuizioni, energie ed alchimie che vanno ben oltre il semplice senso del ritmo perché sul ritmo i Talking Heads hanno elaborato un’arte incomparabile mostrandone la scienza e l’essenza. Per la verità il balzo nelle geografie allogene del linguaggio ritmico i Nostri lo fecero sin da subito, già a partire da quel fulmine a ciel sereno chiamato Talking Heads: 77 per perfezionarsi e potenziarsi nei successivi More Songs About Buildings And Food e Fear Of Music, ma è nel quarto album che la scintilla visionaria di David Byrne (e soci) e le ‘strategie oblique’ di Brian Eno (qui ancora in squadra in qualità di produttore, polistrumentista e coautore in un paio di titoli) trovano la quadratura del cerchio delle loro ricerche sul campo. Il segreto della formula Remain In Light sta nell’armonia del contrasto, dove l’afflato primordiale del dettato ritmico ha come contraltare il carattere innovativo, eterodosso delle tessiture sonore nel loro complesso. Retaggi di culture millenarie che si sposano ai suoni nuovi della fantasia creativa più fervida e geniale. Un’esultanza di esperienze uditive che rimbalzano nelle dimensioni del tempo e dello spazio articolandosi come un dedalo meraviglioso di luci e di colori, di melodie memorabili e pattern inusitati, di pulsazioni accese e tagli di frequenza impressionanti, dinamiche vibrazionali che furoreggiano sulle funi tese dell’emozione senza mai allentare il tiro. Se da un lato si è catapultati nel vortice tribale, epidermico delle linee percussive, dall’altro si fa strada un salto temporale uguale e contrario, laddove si agitano visioni di mitologie ‘ballardiane’ prossime venture. Peraltro le effigi cancellate delle quattro ‘teste parlanti’ che campeggiano sul pannello frontale della copertina paiono raccontare non già di maschere rituali di qualche tribù dimenticata chissà dove, ma di nuovi tipi umani forgiati a ‘immagine e somiglianza’ di un futuro oscuro e pieno di incognite. Forse. Non meno evocativo poi lo stormo di aerei da guerra che rosseggia sul retro. Il calore muscolare della battuta afro-funk e l’anelito avanguardista della sperimentazione elettronica, ma anche il graffio dissacrante del punk, sono gli ingredienti principali di questa prodezza sonica alle soglie del rivoluzionario, per quanto riconducibile a una varietà di modelli archetipici come Fela Kuti e Can, oltre che allo studio sulle fonti primali del ritmo. La cosa certa è che qui l’originalità è fuori discussione. Finire nella spirale pazzesca di Remain In Light equivale ad un viaggio senza ritorno nell’impero dei sensi, già fatalmente irresistibile nelle prime battute tentacolari di Born Under Punches (The Heat Goes On), un invito ai piaceri carnali della danza che toglie ogni indugio, ipnotico e virale oltre ogni ragione. Le intonazioni canore di Byrne sono in perenne stato di deragliamento schizoide, come sul filo di una lama tagliente per acrobazie impossibili. Un performer spettacolare per un ensemble di tiratori provetti che hanno consegnato alla storia un capolavoro a futura memoria. Non v’è un sol brano che non colpisca ed avvinca ancora come la prima volta, siano essi i potentissimi muzak pagani di Crosseyed And Painless e The Great Curve o i gamelan sensuali di Once In A Lifetime e Houses In Motion, quest’ultimo con l’insigne Jon Hassell alla tromba. Impossibile immaginare di star senza un album leggendario e fondamentale come questo. Aldo Chimenti