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SUFJAN STEVENS

LE MILLE STORIE DI UNO STRAORDINARIO RAGAZZO SEMPLICE

Il banjo e la bibbia, il pop lo-fi e le tastierine sgangherate, i cinquanta Stati e il musical, lo spirito intimo del Natale e la magnificenza dell’orchestra, il retro-futurismo dai colori sgargianti e le fotografie sbiadite dei ricordi familiari. A oltre quindici anni dal debutto solista, è tutt’altro che agevole anche solo provare a definire in maniera univoca la proteiforme personalità di Sufjan Stevens, della quale gli elementi citati non costituiscono che tessere sparse di un puzzle in continua rielaborazione.

Con estrema semplificazione, l’artista nato nel 1975 a Detroit e trasferitosi a New York nel 2000 può essere identificato come un cantautore, partecipe di quella “scena” trasversale che ha contribuito a rivitalizzare la tradizione folk, recuperandone i cardini ed elevandola a linguaggio ampiamente diffuso negli ambienti indipendenti statunitensi. La sua biografia personale ed artistica non è tuttavia quella di un “semplice” cantautore, benché almeno alcuni dei suoi numerosi passaggi vi si possano assimilare. Si tratta però, appunto, di momenti da considerare singolarmente, tanto ardua è la ricerca di un filo conduttore unitario tra i tanti che con sorprendente naturalezza si sono intrecciati, sovrapposti e continuamente avvicendati in una discografia che a sua volta non si esaurisce in sette album in studio veri e propri, ma comprende ponderose raccolte di canzoni natalizie, sedicenti EP dalla durata di un’ora e librerie sonore frutto di curiose ibridazioni analogico-orchestrali.
Il filo conduttore, se proprio si vuole, lo si può individuare nella straordinaria creatività alimentata dal vastissimo spettro dei suoi interessi musicali e dalla sua altrettanto straordinaria capacità di scrivere testi al tempo stesso profondi e giocosi e melodie di una spontaneità semplicemente disarmante…su Rockerilla Aprile l’articolo di Raffaello Russo 

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