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STEVEN BROWN

Teatro SacrocuoreRomano d’Ezzelino (Vi) 27.05.2022

Una compagine di resistenti, forse sarebbe meglio descriverli come reduci, affolla l’entrata di un bel teatro mimetizzato da luogo di culto nella sconfinata campagna nei dintorni di Bassano, quello del Ponte degli Alpini e della grappa. La prima cosa che balza alla vista è l’assoluta mancanza di giovani nella piazzetta antistante l’entrata, un vuoto che lascia ben immaginare quale sia l’operazione di azzeramento operata sul loro pensare: musica liquida, grossi raduni rock macchiato finto indie, rap de noantri e altri strani fenomeni riconducibili allo sconfinato nulla loro iniettato e imposto attraverso l’uso sconsiderato dei media, del web e dei suoi tentacolari diffusori. 

Sembra quasi la cittadina del NordEst sia risorta ai vecchi fasti, tra macchie di nero intenso,  strette di mano e abbracci carichi di nostalgia indotta dalla reciproca lontananza dallo spumeggiante rigoglio della nuova onda degli anni ’80.

Forse è anche per questo che ci si ritrova riuniti davanti al portale di quella che sembra una chiesa, uno di quei luoghi disegnati da qualche architetto esperto in design alieno per estese distese di campi senza fine. Un popolo di addetti al tempo che passa, ognuno con il suo bel podere in una stagione ben precisa del ricordo,tutti intervenuti per la cerimonia della rievocazione. Tutti a parte forse pochi, ancora capaci di distinguere il presente dal passato, i Tuxedomoon da uno dei suoi due fondatori, un invincibile viaggiatore ancora in grado di sognare e tradurre il contenuto del suo vagabondare in musica e parole.

“Resisto nel mio piccolo. La scelta è chiara non ho scelta. Per resistere devi prima dire di no alla falsità…”, cantava Steven Brown in una traccia del suo ultimo album e lo canta ora, sopra il palco di un teatro trasformato in luogo di intenso intrecciarsi di laiche preghiere dedite all’indipendenza e al pluralismo di pensiero. 

Era dai primi anni ’90 che il messicano di adozione non produceva un lavoro solista, impossibile mancare alla sua esibizione dal vivo con a fianco un’altra figura storica come Luc Van Lieshout alle trombe e fisarmonica e Benjamin Glibert, giovane chitarrista nella band francese degli  Aquaserge, autori di un nuovo volume della serie Made To Measure per la Crammed Discs, storica label belga che ha stampato anche El Hombre Invisible firmato da Brown.

Il buio in sala accoglie le nostre preghiere offrendoci il gradito ritorno di un trio da tempo sciolto che per l’occasione si è temporaneamente riunito riformando i RAN, gruppo nel quale apparivano Romina Salvadori (voce), Giorgio Ricci (electronics) e il prematuramente scomparso Gianpaolo Diacci (basso e electronics) al quale l’open act è dedicato. AmbientElectronica old school di assoluto livello e ispirate vocalità alle quali si unisce la tromba riconoscibile dai toni nordici di Massimo Berizzi, il tutto immerso nei notevoli visual prodotti dallo stesso TEMPLEzONE aka Giorgio Ricci.

Ed eccolo apparire nel blu intenso dei nostri antichi sogni, giunge portandosi appresso il fidato clarinetto, mentre il sax lo attende paziente all’ombra del pianoforte. Una nota e la danza del ricordo inizia. Stiamo ascoltando il suono che giunge dal nuovo disco ma la presenza dei fasti del passato è palpabile. “Molte di queste canzoni erano originariamente destinate a essere canzoni dei Tuxedomoon. Li ho persino presentati a Blaine e Luc nell’ultima session di prove che ha avuto luogo dopo la morte di Peter. Ebbene, come tutti sanno, alla fine, è diventato chiaro che i Tuxedomoon non avrebbero avuto seguito come band e così ho continuato a lavorare su questi pezzi da solo.”, mi disse Steven durante la conversazione pubblicata sulle pagine di questo mensile nel numero di Marzo.  Una spiegazione quasi scientifica che non può comunque frenare il moto di commozione quando gli strumenti iniziano il loro generoso e spaziale percorso, riuscendo a far vibrare tutte le noste corde, anche le più nascoste. Il presente si fonde con il passato, la nostra storia si unisce a quella dei musicisti, i ricordi brillano sopra un palco trasformatosi in luogo di visione, quasi un Nuevo Cinema Domingo, specializzato in apparizioni lontane nel tempo ma ancora terribilmente vive e capaci di donare la stessa emozione. I tre si alternano nell’esecuzione di tracce che continuamente saltano i confini ben definiti dell’oggi e del ieri, raggiunendo l’apice nella reinterpretazione di un attesissimo Tenco.

Un live che offre continui momenti di estremo interesse, in special modo legati alla reinterpretazione browniana del suono che giunge dalle più svariate longitudini. Durante queste esecuzioni si opera come un’epifania sonora che apre condi-visioni inaspettate. Ascolto l’imperdibile duetto sax e tromba e mi sovvengono le parole di Arlo Bigazzi, musicista ed esperto produttore che a tal proposito dissse: “la musica popolare, esclusa l’Asia, è tutta uguale. Andrebbe studiata per capire la fratellanza universale e crearsi meno problemi tra blues, lamento salentino e quanto altro.” Mai parole furono più azzeccate, mentre sul palco esplode una perfetta tempesta sonora scatenata da una banda di mariachi o forse da un’orchesta romagnola di liscio.

Insistere, ricordare le proprie radici ma progredire nel cammino, essere critici verso la società, battersi contro gli abusi, le guerre, la violenza e farlo con la musica, il Suono.

Continuare sempre e comunque a sognare cercando il contatto: questo è ciò che un ragazzo di trentacinque anni mi raccontava nel lontano 1987 e tutt’ora, a distanza di ulteriori trentacinque anni, continua a raccontare: Searching for Contact.

Mirco Salvadori

ph Lucrezia Pegoraro

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