SLOWDIVE
Azzano Decimo (PN) | Fiera della Musica | 30 luglio
Esattamente ad un anno di distanza dalla loro apparizione a Padova, sempre in “unica data nazionale” come stasera, il quintetto di Reading scende ancora una volta nel Belpaese, questa volta alla Fiera di Musica di Azzano Decimo, cittadina del Pordenonese in grado di confezionare un festival che, negli ultimi anni, ha visto tanti nomi della scena wave (Soft Cell, Echo & The Bunnymen, Wire, Iggy Pop) raccogliere migliaia di appassionati sulla ghiaia del cortile di una scuola del paese friulano. Rispetto al caldo africano di luglio, il meteo che regna sul Friuli regala un fresco inatteso e parecchio ventilato, un viatico ottimale per la serata in questione.
Ad aprire il trittico di concerti, ci pensano, puntuali alle 20.30 come da timetable, i veneti New Candys, con il loro rock psichedelico avvolgente e dai tratti soavemente onirici. Rispetto alle vecchie esibizioni, li trovo parecchio maturati, e la loro performance elargisce un sound che, a tratti, potrebbe ricordare un mix tra certi Loop e certi Warlocks. Rock, psychedelia e un pizzico di shoegaze. Il pubblico risponde caloroso ma la loro esibizione dura solo il tempo di mezz’ora, troppo poco per dei talenti così fini.
Il concerto delle londinesi Savages francamente mi lascia parecchio perplesso. Se, da un lato, la band suona in modo assolutamente compatto, con una vocalist che assume le vesti di animale da palcoscenico indomabile ed iper-cinetico, dall’altro debbo rimarcare due appunti assolutamente evidenti: innanzitutto le canzoni si assomigliano tutte, nella loro struttura post punk – metallica che ricorda la temperie dei primi Banshees, ed inoltre le stesse canzoni si concludono tutte nel medesimo, identico modo. Il fatto di presentare un sound poco variegato e mono-cromatico non depone certo a loro favore. Sembrano una band più punk che post punk, va aggiunto, e, come non mi convincevano su disco, così non mi convincono dal vivo. Ma, opinioni personali a parte, il pubblico risponde in modo caloroso, creando un feedback notevole tra palco e parterre. Sono le undici in punto quando salgono sul palco i cinque Slowdive: notiamo subito che manca il bassista Nick Chaplin, sostituito da Kevin Hendrick dei Male Bonding. Neil Halstead è defilato sulla sinistra del palco, barbuto e con una t-shirt bianca, Christian Saville è sulla destra, Simon Scott picchia le pelli nelle retrovie. assieme al neo-acquisto Hendrick, mentre Rachel Goswell regna, sovrana, al centro del palco, vestita di un delizioso abito nero. La scaletta rispecchia quasi fedelmente quella dell’anno scorso a Padova, e questo potrebbe rappresentare una nota deludente. Ma, quando si tratta della musica onirica, soffice, metafisica creata dagli Slowdive, anche ascoltare un milione di concerti tutti uguali potrebbe non generare un senso di ripetitività, quanto, unicamente, un appagamento uditivo totalizzante, rigenerante, mistico. Con una diade iniziale come Slowdive e Avalyn I, tratti dall’omonimo debut-E.P. del 1990, la band dimostra subito di essere perfettamente coesa, rodata, vincente. Rispetto a Padova, migliora, seppur leggermente, la prestazione canora di Rachel, che, va ricordato, è reduce da una malattia. L’anima della band è naturalmente Halstead, che sintetizza riff circolari e riverberati con le sue sei corde, creando quel suggestivo marchio di fabbrica al sapore di dream pop che rappresenta l’autentica cifra stilistica della band. Una menzione particolare anche per il batterista Simon Scott, abilissimo a decretare, con enorme senso ritmico, le alternanze tra i pianissimo e i fortissimo che attraversano brani magici come Catch The Breeze (unico ripescaggio dal debut-album Just For a Day, 1991) e Souvlaki Space Station. Quando parte Crazy For You, unica perla dell’epitaffio Pygmalion, con il suo minimalismo iterativo portato a livelli superiori (“Crazy for love” è l’unica riga di lirica ripetuta all’infinito da Neil) buona parte del pubblico ha un tuffo al cuore. Pubblico davvero numeroso, con oltre un migliaio di appassionati, composito per età, con un range che va da teenager imberbi a cinquantenni, tutti ugualmente stregati dalla musica dei cinque inglesi. Molti seguono il live a occhi chiusi, mentre il fresco vento delle montagne, abbinato ad una luna piena meravigliosa, crea un corredo ambientale indimenticabile. La band dimostra di volere pescare la maggior parte del repertorio da Souvlaki, secondo lavoro del 1993, e questo rappresenta l’unico mio appunto della serata: avrei gradito più riprese da Just For A day. Il trittico finale è da incorniciare: She Calls, Alison e Golden Hair, cover di Syd Barrett su lirica di James Joyce.
Ancora una volta, magnifici Slowdive.
Emanuele Salvini