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SIREN FESTIVAL

Vasto | 21-24 luglio

Cittadella della musica: grazie al Siren Festival Vasto si trasforma in un’oasi in cui si respira un’atmosfera unica, distesa, appassionata, felice, tra il verde, le terrazze panoramiche mozzafiato e la buona cucina abruzzese. E l’imbarazzo della scelta tra proposte musicali spesso di grande qualità. In ordine di esibizione, stralunato e surreale Pop X, affascinante la voce di Tess Parks, notturna anche nel sole dell’incantevole Giardino d’Avalos, bella come una ninfa in un set minimale voce e chitarra elettrica, mentre scanzonato sembra il rock’n’roll “rough” e il garage dei madrileni Parrots. I brani del deliziosamente imbranato Calcutta, cantati in coro dal pubblico di Piazza del Popolo tra le sue improbabili dediche, appaiono più “suonati” nella versione live, evitando talora l’appiattimento sui synth che qui e lì emerge su disco; funzionano soprattutto la melodia di Cosa mi manchi a fare e l’intensità di Milano, mentre altri pezzi restano a tratti più deboli. Più interessante allora il lo-fi più chitarroso da songwriter folk un po’ stravagante di un pezzo vecchio come Amarena, anche se meno da grande pubblico. Il set di Cosmo, dall’energia contagiosa, diventa una festa che ha quasi dell’incredibile, con il pubblico accolto a ballare sul palco di Porta S. Pietro: gli spengono pure le basi elettroniche, ma l’artista, più che contento dell’entusiasmo, non si scompone e riparte con la levità con l’anima della sua musica a colori sintetici; bellissimi suoni e presenza scenica attoriale per l’eclettico Aladino-Adam Green. Pienone e grande partecipazione per gli impeccabili Editors con ritmica inossidabile e un Tom Smith che si conferma una volta di più animale da palco; anche live emerge come la band non si sia seduta sugli allori, ma abbia continuato a mettersi in gioco nei nuovi pezzi, tra falsetti ed electro-rock con venature anni ’80. Manca forse uno spazio di respiro con qualche variazione del ritmo, ma ci pensa l’encore con la cover di Springsteen Dancing in the Dark voce e piano.

Intriga lo stile di Joan Thiele, i cui arrangiamenti live acquistano parecchi punti rispetto al suono più pulito e a tratti persino r&b del disco; emerge infatti il suo appeal da cantautrice con suoni ottimamente esterofili: è un nome da tenere d’occhio. La band di Jonathan Clancy, His Clancyness, mostra ormai una compattezza che è una garanzia, con pezzi che occhieggiano al rock anni ’70, fanno felicemente respirare atmosfere da rock indipendente americano fine anni ’80-90 o donano al pubblico splendidi suoni più chiaroscurali e pensosi che ricordano i pezzi più shoegaze o post-rock dei suoi gruppi precedenti. Ovviamente magistrali, imponenti e impressionanti le tempeste soniche di un monumento come Thurston Moore e del suo gruppo, che farebbero mangiare la polvere a tanti “giovani”; la palma della performance migliore del festival spetta però probabilmente ai Notwist che ripropongono il loro capolavoro Neon Golden con la consapevolezza e la maestria che il tempo ha regalato loro, ma anche con energia quasi sorprendente. Ogni suono, tra chitarre, synth che guizzano con liquidi colori berlinesi e scratch, anche nella lunga coda con reprise di Pilot, sembra necessario e ogni parola sprigiona il suo nocciolo di senso ed emozione, mentre il pubblico segue attentamente. Molto convincente anche dal vivo Motta, indubbiamente il migliore cantautore tra i nomi della sua generazione, che ha molte frecce al suo arco, tanto da rasentare già la perfezione: testi spesso significativi, voce dotata della giusta enfasi per affondare il colpo, ritmica in gran spolvero, sonorità interessanti, tra momenti più rock, che rammentano i tempi dei Criminal Jokers, e pezzi dal retrogusto più dolceamaro, complice anche la collaborazione con Riccardo Sinigallia. Chiudono i concerti di Piazza del Popolo i Cani, la cui musica oggi appare una creatura bifronte, o forse una farfalla in bozzolo: i pezzi che scaldano la piazza (e tra l’altro concludono il live) sono soprattutto i più vecchi, ancora divertenti, più imperniati su synth e ritmi veloci, meno suonati e più “spoken”, che suonano però oggi quasi inattuali se non “forzati”, non solo per qualche riferimento a tic e manie che ora sono meno diffusi, ma soprattutto rispetto al percorso di Contessa, mentre i brani dell’ultimo disco mostrano talora un po’ più spessore nella scrittura e nel cantato, ma sembrano adatti a contesti più intimi o rischiano di suonare meno riconoscibili.
Ad ogni modo questa edizione appare quella della maturità, pronta a nuovi salti in alto verso nuovi obiettivi, per accreditarsi ulteriormente tra i migliori festival europei.

Ambrosia J. S. Imbornone

ph Giulia Razzauti 

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