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SAXON

Bologna | Zona Roveri | 13 dicembre

Chiamatela pure nostalgia. Per un metallaro della prima ora i Saxon rappresentano, insieme ai Judas Priest, ai Motorhead e agli Iron Maiden, l’anno zero, il big bang da cui è nato tutto ciò che ancora ascolta oggi. In alcuni casi succede che gli allievi superino i maestri (soprattutto economicamente), ma ciò inficia poco con l’autorevolezza che questi ultimi conservano e che permette loro di campare di rendita.

Sono tante le teste brizzolate (quando ancora i capelli sono rimasti al loro posto) che si intravedono tra il pubblico del Zona Roveri. Gente che ha messo da parte il chiodo e le cinture borchiate da un ventennio e che, quando i Saxon portavano alta in tutta Europa la bandiera della New Wave Of British Heavy Metal, aveva la stessa età che oggi hanno i suoi figli.

Ad arricchire l’operazione “nostalgia” avrebbero dovuto esserci anche le Girlschool, storica metal band dei primi anni ’80 tutta al femminile. L’inspiegabile forfait dell’ultimo minuto rovina la festa ai presenti, che si ritrovano sul palco, al posto delle metal girls britanniche, gli Overtures, modesta band power metal di Gorizia. Qualcuno applaude, sembra quasi per cortesia. In fondo, non è colpa loro, piombati in un contesto del tutto estraneo alla musica che propongono, di fronte a un pubblico per nulla contento della “sostituzione”.

 

L’incontro con la storia è solo rimandato di un’oretta. Alle 22, minuto più, minuto meno, It’s A Long Way to the Top degli AC/DC accompagna l’ingresso sul palco dei Saxon, che attaccano con una Battering Ram al fulmicotone, biglietto da visita del nuovo corso. Biff Byford si prende subito la scena, con la sua voce calda e ruggente e la sua sagoma imponente. I capelli sono bianchi e radi, ma ancora lunghissimi: il physique du role è ancora spendibile e le sue corde vocali, a differenza di tanti coetanei urlatori, funzionano ancora alla grande. Insieme alla chitarra di Paul Quinn, sporca e ruggente come nei gloriosi anni ’80, formano un binomio perfetto. Da quarant’anni.

La prima parte del concerto alterna classici (Heavy Metal Thunder, Never Surrender, Stand Up and Be Counted), a materiale più recente (The Devil’s Footprint e Sacrifice), ma è evidente da come si muovono i fan sotto al palco che il confronto non regge e non certo per demerito dei nuovi brani, quanto per il potere esplosivo dei riff che hanno fatto la storia della band e del metal.

Appiccato definitivamente il fuoco con Strong Arm of the Law arriva il momento della “scelta”. Biff si rivolge al pubblico con fare da presentatore televisivo: “Volete ascoltare The Eagle Has Landed, Broken Heroes o Power and the Glory?”. Nessun dubbio dalla platea, la scelta ricade sulla terza opzione, con buona pace di chi le avrebbe ascoltate volentieri tutte e tre.

Ormai l’atmosfera è calda abbastanza per accogliere il meglio del meglio. Senza soluzione di continuità, una dopo l’altra, 20.000 ft, And the Bands Played On, Dallas 1 Pm, Wheels of Steel e una tiratissima cover di Ace of Spades dei Motorhead, dedicata alla memoria dell’amico Lemmy, ricordano ai presenti perché i Saxon sono ancora qui a rappresentare uno dei volti migliori dell’heavy metal di sempre.

C’è ancora tempo per 747, Crusader, Denim and Leather e l’immancabile Princess of the Night, degna conclusione di una serata che, per qualcuno resterà memorabile (ah la nostalgia..).

Gli altri avranno assistito, in ogni caso, a un bel concerto.

Daniele Follero

 

 

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