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Rolling Stones in America Latina

Nei mesi di febbraio e marzo del 2016 i Rolling Stones sono stati in tour per dodici concerti in dieci città dell’America Latina. Il regista Paul Dougdale ha ripreso le varie fasi del tour e ne ha tratto due film epocali. Havana Moon, già uscito nelle sale cinematografiche e poi anche in dvd qualche tempo fa, è il documentario che racconta il concerto con cui si è concluso il tour, il 25 marzo, a Cuba, paese in cui gli Stones suonavano per la prima volta nella loro carriera. Era anche la prima volta che un grande gruppo rock straniero si esibiva nell’isola di Castro nella quale il rock è stato proibito per molti anni. La possibilità di concretizzarsi dell’evento è stata in dubbio fino all’ultimo momento, tra conferme da parte del governo che tardavano ad arrivare e intoppi vari (la concomitante visita di Obama, il rilievo del Papa per il fatto che il concerto si sarebbe svolto il Venerdì Santo), e ha tenuto tutto lo staff dei Rolling Stones in apprensione fino al giorno prima del concerto. E tutte queste incertezze sino all’ultimo secondo sono ben evidenziate nel secondo documentario di Paul Dougdale, Olé, Olé, Olé!: A Trip Across Latin America, arrivato anche nelle sale cinematografiche italiane qualche giorno fa, oltre che in formato dvd nei negozi.

 

Se Havana Moon è un documentario emozionante, Olé, Olé, Olé! lo è se possibile ancora di più, poiché non si limita a raccontare i concerti ma rivela parecchi retroscena e contiene qualche piccola nota personale sui quattro musicisti. Havana Moon è un film sul concerto di Cuba, Olé, Olé, Olé! è un documentario sull’America Latina e sugli Stones, in egual misura. Le città sudamericane, i paesaggi, la cultura e la popolazione locale sono protagonisti così come Jagger-Richards-Wood-Watts. Lo dicono subito Mick e Keith che c’è qualcosa di speciale in quei luoghi, qualcosa che rende suonare là un’esperienza unica. Gli Stones mancavano dal Sud America da dieci anni e in alcuni paesi non avevano mai suonato prima, come in Perù e in Uruguay. Il documentario tocca tutte le tappe del tour e di ognuna descrive lo specifico tessuto culturale. Un tessuto culturale di cui gli Stones sono entrati a far parte in quanto simbolo di quel genere musicale, il rock, che in molte di queste nazioni è stato bandito per lungo tempo, facendo diventare la band inglese una specie di vessillo della ribellione ai regimi dittatoriali che li governavano. Lo spiega, tra gli altri, Javier Bátiz, chitarrista e figura centrale della controcultura messicana, il quale ricorda come il punto di svolta nel suo paese sia stato il Festival di Avándaro del 1971, una sorta di Woodstock in chiave messicana che celebrava la pace, l’amore, la musica e l’arte, e che fece molta paura al governo, tanto da indurlo poco tempo dopo a mettere al bando la musica rock. Ecco quindi che in questi paesi la linguaccia provocatoria degli Stones diventa un potente simbolo di contestazione e di amore per la libertà, tanto da indurre una coppia argentina a chiamare il figlio Jagger, con il nome di “sua maestà, la persona che ci ha insegnato a vivere”.

 

Il ritorno in America Latina è anche l’occasione per i quattro Stones, osannati ovunque, di reimmergersi in questo tessuto culturale, ritrovando gli amici, rispolverando i ricordi, partecipando alla vita locale. Li vediamo quindi improvvisare per strada una versione di Satisfaction con una famiglia di percussionisti in Uruguay, ballare al suono delle percussioni di un gruppo di musicisti e danzatori in Perù, ricordare quando Keef inventò l’intro di Honky Tonk Women in Brasile. E anche raccontarci un po’ di sé. La passione per la pittura di Ron Wood, il momento in cui Charlie Watts da ragazzino ha cominciato a suonare con un banjo a cui aveva tolto il manico, prima che il padre gli regalasse una batteria presa da un amico al pub, i riti propiziatori di Keith Richards contro la pioggia ai concerti e soprattutto i suoi momenti di commozione sincera quando in Argentina i fans appostati sotto le finestre del suo hotel lo svegliano cantando “Richards olé olé olé”, così come poi faranno anche durante il concerto, provocando un’emozione alla quale non ci si abitua mai, spiega il chitarrista. E a legare tutto l’amicizia profonda e l’affetto che unisce i quattro musicisti dopo tanti anni passati insieme, che li porta ormai a capirsi con un semplice sguardo anche senza parlare, collante che li ha tenuti insieme per 55 anni, tutto documentato nelle scene del film.

Rossana Morriello

 

 

 

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