Top

Obituary + Exodus

+ Prong + King Parrot

Bologna | Zona Roveri | 19 Novembre

Quando vedi pogare insieme, per ore, quarantenni canuti, ragazzini sbarbati, studenti e ragazze magroline, ti rendi conto che il metal, più che un genere musicale, è un modo di essere, di divertirsi e di vivere una performance live. Nell’atto di pogare e “nuotare” sulla folla, quasi quarant’anni di musica si comprimono in momenti senza tempo, in cui la velocità dei riff di chitarre ultra distorte e del drumming martellante diventano il sentire comune di tante generazioni.

Una sorta di rituale, sempre uguale e, allo stesso tempo, sempre nuovo, in cui il pubblico non è solo ascoltatore ma parte attiva.

A praticare il rito, stavolta, fronteggiandosi in una battaglia a suon di graffianti sferzate, ci sono due band simbolo del metal estremo, rappresentanti di due diversi approcci al thrash, geograficamente riconducibili alle coste est e ovest degli USA. La “battaglia delle baie”, The battle of the bays: non poteva essere più chiaro ed esplicito il nome scelto per il tour europeo che ha messo insieme gli Exodus, padri spirirtuali del thrash metal californiano e gli Obituary, massimi esponenti del Death floridiano.

Ad aprire le danze o, se preferite, i combattimenti, già alle 19, è il grindcore dei King Parrot che, dopo una mezz’oretta, hanno lasciato il posto agli apprezzatissimi Prong. Band che non hanno bisogno di presentazioni ma che, di fronte ai nomi altisonanti degli headliner, hanno dovuto accontentarsi di scaldare un pubblico ancora esiguo e letteralmente ghiacciato (Bologna, già dalle prime ore della sera, era avvolta da una fredda coltre di nebbia).

Se si dovesse nominare un vincitore della “battaglia”, questi sarebbero gli Exodus. Ma solo ai punti, non certo per ko tecnico, ché gli Obituary, dopo la bellissima performance dello scorso anno all’Estragon, in occasione del Deathcrusher tour con Carcass, Voivod e Napalm Death, hanno confermato una forma ottima e un’attitudine alla performance live paragonabile agli Slayer.

Gli Exodus, però, hanno avuto un impatto sul pubblico straordinario. Con una scaletta breve ma intensa, divisa equamente tra i “gloriosi” anni ’80 di Bonded by blood e Preasures of the flesh e gli ultimi due album, hanno coinvolto il pubblico in un’orgia di thrash old school che ha messo d’accordo tutti. Souza non ha più il physique du role del frontman, ma la sua voce, il suo inimitabile falsetto, riesce ancora ad essere convincente, così come i riff al fulmicotone di Gary Holt e dell’ex Heathen Lee Altus. Il bimbo che, chiamato sul palco, suona il riff finale, è il simbolo più bello e significativo del clima che si respira.

Quando sul palco salgono gli Obituary, molti, tra le prime file, stanno ancora prendendo fiato e provando a farsi asciugare il sudore, storditi dal finale incandescente dei cugini/avversari californiani, che hanno lasciato gli astanti a bocca aperta con un finale al cardiopalma in cui hanno alternato Bonded by blood, the toxic waltz e strike of the beast senza soluzione di continuità.

Se gli Exodus stupiscono, gli Obituary ricambiano con la stessa moneta. A differenza del concerto bolognese dello scorso anno, dedicato in buona parte a promuovere l’ultimo album, Inked in blood, la band di Trevor Peres, John e Donald Tardy, torna alle origini, eseguendo ben 7 brani dall’esordio Slowly We Rot. L’immancabile omaggio ai Celtic Frost (Dethroned emperor/Cyrcle of tyrants), da sempre punto di riferimento della band, è il colpo di grazia di un assalto sonoro dall’impatto brutale.

Pensandoci bene, un pareggio tra le baie potrebbe anche starci.

Daniele Follero

 

 

Condividi