NICK CAVE
Nick Cave nell’ambito del tour per l’album Skeleton Tree, tra le tre date italiane, fa tappa al Forum di Assago, in un concerto-evento memorabile, ennesima lezione di stile e prova di un carisma sciamanico che travalica ogni quieta, consueta misura e oggi quanto mai abbatte le barriere con il pubblico, trascinandolo in un gorgo di note. Esse appaiono maestose e convulse, sontuose e luciferine, “classiche” e ipnotiche, chirurgiche, calibratissime, eppure pronte a dilagare in lunghe code strumentali indiavolate, animate quasi da un autentico e incontenibile furore. In un percorso di fascinazione ad alto rischio di mutarsi in obbligata devozione, si viaggia così tra due poli opposti, rappresentati dai suoni febbrili, rutilanti e mefistofelici di una lunga versione di From Her To Eternity, titletrack del disco d’esordio, e dalla struggente e lirica Distant Sky, dolcissimo viatico per un addio a due al mondo, al disincanto e quasi alla sensazione di impotenza o inutilità che dispensa agli adulti con il passare del tempo (“soon the children will be rising […] this is not for our eyes”). Gli interventi della voce celestiale di Else Torp sono riuniti in un unico contributo video, in un duetto che diventa quasi metafisico nel religioso e commosso silenzio degli astanti. Che alle polarità contrapposte della poetica musicale di Cave si possano collocare emblematici pezzi del primo e dell’ultimo album non deve però ovviamente disorientare: giorno e notte, rassegnazione quieta o sognante e tempesta coesistono sul palco, mentre ci si ritrova immersi a capofitto tra bagliori sinistri e linee di piano dolorose e magnetiche, tra i riff liquorosi e i lenti, inesorabili crescendo di Jubilee Street, tra sprazzi di coralità da Americana come in Weeping Song, tra ritmi incalzanti, quasi dall’incedere marziale di brani in cui il canto si fa quasi spoken come The Mercy Seat, oppure diviene mantra e insieme formula d’evocazione infernale, come tra i tuoni e l’immaginario biblico di Tupelo (dal secondo album The Firstborn Is Dead).
Muovendosi con la sua allure sardonica e al contempo drammatica per ogni tappa tra i due estremi della luce del cielo distante e del buio del grembo della vita, Cave officia un rito dionisiaco che squaderna e prova concretamente, in carne, sangue e note, la potenza della musica in ogni sua sfaccettatura: ballate commosse come la preghiera laica di Into My Arms, la passione incontrastabile di un altro classico come The Ship Song, momenti di invasamento agitati dalla rabbia, dal dolore e da una sensualità più che terrena, momenti sussurrati si alternano in una visceralità accentuata da una voce profonda che sembra affondare nelle radici nel centro magmatico della Terra e a queste cavità segrete del pianeta, alle anse più recondite dell’io sembra richiamare come un’eco ancestrale e spettrale (“With my voice I am calling you”, per parafrasare alcuni versi tra i quadri “sociali” di sofferenza e la fatica di una “vita violenta” di Jesus Alone). Pur senza perdere un grammo del suo fascino impenetrabile e del suo alone da sopravvissuto e inimitabile, Cave, però, non avendo bisogno di piedistalli da star per essere un mostro sacro, è, come si diceva, probabilmente mai quanto prima vicino fisicamente ed emotivamente al suo pubblico durante i suoi concerti: spogliatosi della maschera del personaggio nel suo ultimo disco per mettere a nudo l’umanità più cruda e indifesa del suo dolore per la morte del figlio Arthur, il cantautore australiano si immerge ancora nell’onda di calore e commozione dei suoi fan, cercando un’empatia che è cassa di risonanza dei suoi umori per un rito di impatto devastante, ma forse in qualche modo anche caldo strumento di conforto temporaneo dai suoi eterni tormenti, ovviamente nei tempi e nei modi in cui decide di concedersi ai bagni di folla e di avere contatto con il suo pubblico.
Ma i concerti di Cave non sono ovviamente figli solo del suo iconico leader: sono ovviamente gli straordinari Bad Seeds, in primis il fido alter-ego, il vulcanico e poliedrico Warren Ellis (non si dice che il diavolo suoni il violino?), poi il bassista Martyn P. Casey, Thomas Wydler (batteria, percussioni), Jim Sclavunos (percussioni, organo, ecc.), George Vjestica (new entry del 2013 alle chitarre, piano) e Toby Dammit (piano, mellotron, ecc.) a disegnare sonorità desertiche o lancinanti, lampi e oceani caldi, a proiettare ombre lunghe, suoni fondi come il pozzo in cui si smarrisce per sempre tanto di ciò che si ama o come le ferite che quelle perdite irrisarcibili lasciano nell’anima.
La musica di Cave e dei suoi compagni di viaggio inquieta, sconvolge, commuove, incanta, scavando anche e soprattutto dal vivo un segno indelebile.
Ambrosia Jole Silvia Imbornone
Assago (MI) – Mediolanum Forum 6 novembre
Setlist:
Anthrocene
Jesus Alone
Magneto
Higgs Boson Blues
From Her To Eternity
Tupelo
Jubilee Street
The Ship Song
Into My Arms
Girl in Amber
I Need You
Red Right Hand
The Mercy Seat
Distant Sky
Skeleton Tree
Encore:
The Weeping Song
Stagger Lee
Push The Sky Away