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MARK STEWART

Roma | Black Out | 17 ottobre

Mark Stewart è il leader e voce del glorioso e ancora influente, nonché riformato, Pop Group, combo seminale in bilico tra post punk, no wave, jazz dub che spiazzò per la sua irruenza agli albori degli’80. La sua carriera solista è poi continuata con dischi di una certa caratura e non sempre di facile ascolto, sovente con al mixer l’influente guru del dub Adrian Sherwood. Quando Stewart venne nel 2005 in Italia fu accolto da una platea numerosa e adorante, cosa che ci si aspettava di rivedere in questo nuovo tour italiano con prima tappa a Roma. Paganti presenti? 21 persone. Rimaniamo basiti da tutto questo e il sospetto è che veramente il nostro paese stia perdendo interesse per la cultura, quando il nome non è il trend del momento. In una sala ampia e semi deserta Stewart non si lascia influenzare mantenendo viva la fiamma da agitatore sociale che lo contraddistingue. Accompagnato alla chitarra da Don Catsis, un altro componente del Pop Group, e con alla sezione ritmica Arkell & Hargreaves (True Tiger/Submotion Opera), Stewart ha interagito alla voce con Mc Brother Culture, artista di Brixton tra i più apprezzati a Londra come vocalist su basi dub, proprio come ha dimostrato, con encomiabile verve, prima del concerto nonostante il deserto antistante.
La scaletta ha subito parlato al passato con una incisiva versione di Liberty city dal primo album di Mark Stewart & The Maffia intitolato Learning To Cope With Cowardice. Brano trascinante e dall’intatta urgenza espressiva, che subito è arrivata diretta allo sparuto pubblico. Già dal secondo brano invece Mark è andato a pescare a piene mani dal più recente The Politics Of Envy, album ricco di ospiti prestiogiosi (tra cui Keith Levene, Bobby Gillespie dei Primal Scream, Factory Floor), ma che non è tra i suoi più riusciti a causa di una ricerca musicale più morbida e pop, vestito che l’artista di Bristol non sa calzare al meglio. Dunque le canzoni hanno fatto muovere la testa e il piede e l’alternanza tra il cantato di pancia ed enfatico di Stewart, con quello più jamaican style di Mc Brother Culture ha funzionato, ma forse a non coinvolgere pienamente sono stati proprio i pezzi che, a livello di arrangiamenti, appaiono un po’ banali, sebbene la forza della parola e della denuncia contro tutti i poteri sia sempre efficace.
Di sicuro ci si è esaltati di più quando a prevalere sono state le vecchie composizioni e dalla sua ampia discografia ha pescato Stranger Than Love dell’87 e una sempre inebriante Hysteria con la quale ha concluso il set.
Mentre ci allontanavamo dal locale ci chiedevamo quale avrebbe potuto essere l’impatto  con una sala decisamente più affollata. È malinconico constatare come il pubblico oggi a Mark Stewart  preferisca personaggi che devono tantissimo al suo importante processo artistico e culturale.

Gianluca Polverari


Liberty City
Autonomia
Apocalypse Hotel
Gang War
Codex
Stranger Than Love
Letter To Hermione
Stereotype
Gustav Says
Method To The Madness
Hysteria

 Stewart

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