LIVE REPORT THE RETURN OF THE GODS FESTIVAL
The Return of the Gods
Pantera, Kreator, Elegant Weapons, Coroner, Fleshgod Apocalypse, Vektor, Sadist
Arena Parco Nord – Bologna – 2 Luglio 2023
“Pensa che figata se avessimo avuto diciassette anni nei ’90” dice, riferendosi all’epoca d’oro dei Pantera, un ragazzo poco più che ventenne all’amico, in attesa del suo turno per il bagno. Una frase sentita e risentita, che ha attraversato generazioni di appassionati, sebbene riferita a band e decenni diversi. E, forse, è proprio in quel “pensa che figata se…” che sta il senso di un festival come il Return of the Gods. Quel meraviglioso passaggio di consegne che avviene ad ogni evento del genere nella comunità metal, quella tradizione orale di racconti, aneddoti tra chi ha vissuto certi momenti e chi avrebbe voluto, continua ad unire generazioni di fan. For the fans, for the brothers, for the legacy, recita lo slogan del tour dei Pantera. Ecco, appunto.
In origine doveva essere il ritorno in Italia di Anselmo & Co., nel corso dei mesi si è trasformato nel ritorno degli Dei: 8 band per un totale di circa 11 ore di musica con poche pause. Ingredienti, sulla carta, sufficienti a giustificare il massacrante tour de force. Perchè faticoso lo è stato, soprattutto per i più arditi, già all’Arena Parco Nord di Bologna prima delle 12, ricompensati dall’ ottima performance dei genovesi Sadist. Antipasto con il thrash iper-tecnico dei Vektor, che avrebbero meritato una posizione migliore nella line-up del festival. Peccato che l’acustica un po’ approssimativa non renda giustizia ad una performance intensissima. E lo stesso accade con i Fleshgod Apocalypse che, sebbene soffocati da un suono un po’ impastato, non esitano a mettere in mostra tutta la loro teatralità, con il rischio di crepare di caldo sotto i pesanti costumi di scena.
E’ proprio nel bel mezzo dell’esibizione della band perugina che arriva la brutta notizia: con un videomessaggio Nerdal annuncia il forfait dei Behemoth, causato dalla cancellazione del volo che li avrebbe dovuti condurre a Bologna. Gelo. Sui tanti volti increduli traspare visibile la delusione.
A beneficiare dell’assenza dei polacchi sono le band successive, che, alla proposta di suonare più a lungo, non si tirano certo indietro. I Coroner, la vera sorpresa del festival, lasciano tutti felicemente stupiti da una performance tiratissima, nonostante l’età e il sole a picco. Agli Elegant Weapons, supergruppo in scala minore formato da quattro musicisti provenienti da recenti esperienze con band di rilievo (Judas Priest, Michael Schenker Group, Uriah Heep e Accept), un po’ di spazio in più non può che giovare, soprattutto alla luce del fatto che il pubblico sembra divertirsi con il loro hard rock melodico fatto di ottimo artigianato e svariati clichè del genere.
Per i Kreator, che salgono sul palco circa mezz’ora prima del previsto, il maggiore tempo a disposizione trasforma il concerto in uno show da headliner, con una scaletta di 16 brani tratti da 13 album differenti, per una durata complessiva di circa un’ora e mezza, durante la quale la band ripercorre gran parte della carriera riservando l’infuocato finale ai fan old school: Extreme Aggression, Terrible Certainty, Flag of Hate, Pleasure to Kill. Mille Petrozza è a suo agio con il pubblico. Scherza sulle sue origini italiane, esorta le prime file a pogare e tiene il palco con grande professionalità. Per cui gli si perdona anche qualche posa un po’ retrò.
Quando salgono sul palco i Pantera c’è ancora luce. Sufficiente a notare dall’alto il prato riempirsi. C’è chi ha pagato l’intero biglietto, ma è arrivato solo per loro. Del resto, era la loro serata. I giganti, in quest’occasione erano loro.
La tanto discussa reunion, è arrivata alla prova dei fatti in un’arena entusiasta oltre l’inverosimile. Già, perchè si discute, nella comunità metal, ma poi, al momento di esserci ci si fa trovare. E si ascolta, si poga, si salta, si canta. Poi magari, dopo, si giudica. E il giudizio, in questo caso, non può che essere positivo. Al netto di una performance non impeccabile, e dei cambi di formazione che ne hanno inevitabilmente modificato (piaccia o no) i connotati, i Pantera riescono a trasmettere quelle vibrazioni e quel groove che li hanno resi il faro del metal nel decennio dei ’90. Charlie Benante non è Vinnie Paul, Zakk Wylde non è Dimebag Darrell, ma questo, ci si augura, nessuno lo sperava. Si sperava, invece, che ci fosse intesa, che si stabilisse un feeling tra i quattro musicisti e questo si è sentito e visto, al di là delle sbavature e della voce un po’ troppo roca di Anselmo, affaticata nelle parti più liriche.
Il pubblico è un’enorme onda irregolare costantemente in movimento, in cui si creano qua e là spontanei vortici di pogo. Lo show, basato quasi interamente sui due album più celebri della band americana (Vulgar Display of Power e Far Beyond Driven), scorre veloce e tumultuoso fino all’emozionante dedica “a Dime e Vince” sulle note di Planet Caravan dei Black Sabbath, per poi esplodere in un finale tanto prevedibile quanto entusiasmante con Walk (con tanto di cori dei Kreator, tornati sul palco per l’occasione), Domination, Hollow, Cowboys from Hell e Yesterday Don’t Mean Shit.
Alla fine, sulle note di How Soon is Now? degli Smiths l’Arena dedicata a Joe Strummer si svuota velocemente di facce provate, ma con il sorriso stampato di chi torna a casa (quando ci arriverà) arricchito da una nuova esperienza da raccontare e tramandare…al prossimo concerto.
Daniele Follero