KING CRIMSON
Torino | Teatro Colosseo | 14 novembre
Dopo le tappe di Milano, Firenze e Roma è toccato a Torino ospitare le ultime due date del tour che ha portato i King Crimson sulle ribalte del Belpaese. Personalmente ho assistito solo alla prima delle due esibizioni in agenda al Teatro Colosseo, ma posso assicurare che non avrei fatto alcuna fatica a bissare dopo aver tastato con mano la potenza illimitata dell’odierno Re Cremisi in abiti da palco. Il culto nei confronti di questo pilastro della musica contemporanea è ancora assai diffuso e profondo dalle nostre parti, come testimonia la massiccia affluenza di pubblico registrata ovunque. Alla corte di questa leggenda vivente, capitanata da sua maestà e guru/scienziato della chitarra ‘sperimentale’ (e non solo) Robert Fripp, oggi figura una nomenclatura impeccabile. Ai fiati troviamo Mel Collins (tornato nei ranghi nel 2013 dopo avervi militato dal 1970 al 1972), il nerboruto Tony Levin al basso (in organico dal 1981), il vocalist e seconda chitarra Jakko Jakszyk e il trio di batteristi/macchine da guerra al proscenio, ovvero Gavin Harrison (Porcupine Tree), Pat Mastelotto (coi Crimson dal 1994) e l’altrettanto blasonato Jeremy Stacey. Una truppa a dir poco esplosiva, calibri inestimabili i cui curricula contano esperienze e trascorsi artistici di primissima grandezza, con il triunvirato dei batteristi, disposti in prima linea sulla scena, pronti a dar dimostrazione di sé non già in quanto grandi virtuosi dello strumento, ma in quanto ad originalità e forza d’urto inarrestabile. Requisiti che, uniti alla maestria indiscutibile, hanno posto in essere una specie di nucleo d’assalto organizzato, una compagine muscolare ben assortita capace di coordinarsi al nanosecondo nel ruolo di acrobati e titani del ritmo incrociato in punta di bacchetta. Al vigore smisurato (ma mai narcisistico) della sezione ritmica faceva eco lo strato alto del parterre occupato dai musicisti summenzionati. Una sinergia inaudita fra giganti, tale da lasciare attoniti o far saltare sulla sedia a seconda dei momenti. Le prestazioni di Collins al sax e flauto avevano la stessa pienezza grandiosa di un’orchestra jazz dai mille colori, ci ha pure dedicato un fugace divertissement flautistico sulle note del nostro inno nazionale prontamente plaudito. Levin ci ha fatto conoscere le meraviglie del suo equipaggiamento all’avanguardia: oltre al basso elettrico a 5 corde, ha suonato l’incredibile Chapman Stick e l’NS electric upright bass. Un mago dei tagli a bassa frequenza e dell’accordo slappato ai massimi gradi della scala tellurica. Il canto di Jakko Jakszyk poi non ha fatto rimpiangere la bravura di insigni predecessori quali Greg Lake, Gordon Haskell o John Wetton, quasi filologico nel ripercorrere le pagine più memorabili del repertorio storico. E che dire infine del demiurgo della situazione Robert Fripp? Che dire della sua tecnica innovativa alle corde elettrificate e del suo stile mercuriale? Che dire delle sue saette cinematiche in rotta di collisione con il firmamento dell’assolo stellare? Le parole non bastano a descrivere di cosa sia capace, non renderebbero giustizia a tanto fulgore. Scatta una sorta d’imbarazzo psicologico nel trovare l’aggettivo adeguato. Neppure il termine ‘superbo’ più dirsi esaustivo, se non perfino fuorviante, ai fini di una analisi appropriata. Oltretutto in programma c’era una scaletta di classici provenienti da pietre miliari come In The Court Of The Crimson King (An Observation By King Crimson), In The Wake Of Poseidon, Lizard, Islands, Red, Larks’ Tongues In Aspic… Art rock allo stato puro. Perfetta forza centrifuga di emozioni mai così intense e vibranti, con picchi da urlo nelle stratosferiche versioni deflagranti di Cirkus, Epitaph, Easy Money, Larks’ Tongues In Aspic, Lizard, The Court Of The Crimson King… Frecce volanti di un poema epico in diretta, l’età dell’oro della saga crimsoniana restituita ai suoi antichi splendori in quasi 3 ore di prodezze spettacolari, incluso il bis con l’apoteosi finale sulle molecole impazzite di 21st Century Schizoid Man.
Mostri sacri di detto e di fatto.
Aldo Chimenti