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KEVIN HAYS

Variations

Pirouet

 

Con ancora nelle orecchie le scorribande tra classica e jazz di Modern Music (Nonesuch, 2011), realizzato in tandem con Brad Meldhau, Kevin Hays dedica il suo nuovo lavoro in solitaria alla spinosa nozione di variazione in musica. Spinosa specie se affrontata da una certa prospettiva: quella di chi, come Hays, sceglie deliberatamente di muoversi nell’interstizio pericoloso che viene a crearsi tra classica-classica e jazz euro-colto, tra pagina scritta e improvvisazione. Una landa di certo non desolata, nel cui perimetro solo ai grandissimi geni può capitare di dire qualcosa di nuovo, o semplicemente di dire senza parlare la lingua abusata del pianismo da grande auditorium. Quello di Hays è nome di punta del piano jazz contemporaneo e il concept, se così lo vogliamo chiamare, è senz’altro ben imbastito: ruotando attorno a un tema tratto dalla prima delle Quattro Fughe per Pianoforte, Op. 72, di Robert Schumann, le 24 variazioni non hanno paura di spingersi oltre il lessico (sicuramente fatto proprio) di barocco, romantico e minimalismo. Nelle tre variazioni di The Dervish of Harlem, per esempio, si ascoltano senz’altro alcuni dei picchi qualitativi dell’album: stranianti perché edificate su una serie di dissonanze non schiettamente esibite, ma come occultate al fondo di una struttura pur sempre cristallina. Un disco a più livelli di lettura che conferma il talento di un pianista ancora ingiustamente sottovalutato.

Vincenzo Santarcangelo

 

 

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