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JENS LEKMAN

Bologna | Locomotiv Club | 25 aprile 2017

Prima del concerto Jens – armato di cappellino, pallido e magro come un manico di scopa – si è mimetizzato nel pubblico, e ha osservato per un paio di minuti l’esibizione di Margherita Vicario (simpaticissima, ma forse un pochino fuori luogo con la sua produzione da Amici di Maria).

L’ha fatto quasi per mettere le cose in chiaro: il cantautore svedese è distante anni luce da ogni forma di divismo e di retorica, è un bravo ragazzo alla mano esattamente come lo si immagina, forse giusto un filo più disinvolto.

Il concerto inizia un po’ più tardi del previsto, ma ripaga il centinaio abbondante di fedeli presenti al Locomitiv di Bologna la sera del 25 aprile.

La band tutta al femminile è un compendio di grazia esecutiva e di semplicità: come l’amico, le ragazze del nord sembrano un gruppo di liceali un po’ cresciute in gita scolastica, e non fanno nulla per nasconderlo. Il loro approccio è di una naturalezza disarmante.

Buona parte del concerto è dedicata all’ultimo lavoro, quel “Life Will See You Now” che ha segnato una svolta significativa nella carriera dell’autore. La malinconia infatti è un po’ diluita, Jens – pur non perdendo un briciolo di grazia e di intelligenza – sembra oggi e più che altro preoccupato di divertirsi e di divertire. L’elegante pop di “What’s that perfume that you wear?“, dal sapore vagamente bacharachiano, prelude alle atmosfere quasi caraibiche di “Wedding in Finistere” e al soul ballabile di “Evening Prayer“. Il combo stupisce per compatezza, facilità esecutiva e pulizia: Jens in versione live si rivela davvero un signor cantante, capace di reggere con la voce il peso del brano, pulito come e più che in versione disco.

Da fan della prima ora confesso di aver gioito soprattutto quando ho sentito gli archi (citazione di Glen Campbell) che introducono “Maple Leaves“, gemma fra le gemme del primo album, quasi la summa dell’arte di Lekman: testo a metà strada fra romanticismo e tenebre, campionamento geniale, un crescendo melodico stupefacente, base in odore di hip hop strumentale. La leggiadra “A Postcard to Nina” ha coinvolto il pubblico, confermando che Lekman possiede un talento naturale per la narrazione e per la scrittura degli arrangiamenti, mai così barocchi e ricamati.

Vederlo da ultimo cimentarsi in una versione acustica di “Pocketful of Money” e di “Black Cab“, praticamente seduto con la chitarra in mezzo al pubblico, è stata la ciliegina sulla torta di una serata da ricordare.

Francesco Buffoli

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