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J. EDGAR

di Clint Eastwood 

USA 2011

 

Alla veneranda età di 81 anni il nostro Clint, repubblicano convinto, gira un film su un personaggio quanto mai controverso e unico nel panorama della storia del suo paese: J. Edgar Hoover, capo dell’FBI, il famoso dipartimento di polizia per quasi mezzo secolo con una politica quantomeno spregiudicata, esplorando la vita privata e pubblica dei politici e capace di distorcere la verità arrivando ad esercitare un potere oscuro ed occulto.

Una storia sicuramente affascinante quanto complessa che inizia con la sua ascesa all’FBI nei primi anni 20 seguita dai successi negli arresti del famigerato criminale John Dillinger e dell’assassino del figlio di Lindbergh, contribuendo con uno sviluppo di uomini, mezzi e credibilità del suo dipartimento sino ad allora poco considerato dal governo USA.

Ma è soprattutto nel periodo dei Kennedy che Hoover manifesta maggiormente il suo potere, basato sull’informazione, dedicando tutta la sua vita professionale alla ricerca di segreti che gli hanno permesso di restare sulla poltrona dal 1924 al 1972 tenendo in scacco presidenti come Coolidge, Keennedy e Nixon.

Decisamente opposto il suo atteggiamento nella vita privata; temuto e rispettato era spesso in compagnia di attori e celebrità, (sembra che chiamasse James Cagney per ricordargli che nei suoi personaggi cinematografici criminali alla fine doveva morire) ma anche del tutto schivo e sempre in compagnia del suo braccio destro con il quale ha intrattenuto una relazione omossessuale, rappresentata bene e con descrizione in”J. Edgar”.

Il film si sviluppa nel momento in cui il protagonista prossimo alla fine del suo incarico ripercorre le tappe principali della sua carriera, fatta di pressioni sui fratelli Kennedy, e Luther King, grazie al fatto di essere venuto a conoscenza dei loro segreti e presunti vizi sessuali; una storia quindi molto attuale anche se avvenuta 40 anni fa, figura di Hoover a parte, fatti come le bombe anarchiche del 1919 a Washington ricordano gli attacchi alle torri gemelle e sono forse padri del maccartismo degli anni 50. Così come ricatti e custodie di informazioni da rivelare al mondo rimandano alla controversia questione WikiLeaks, e su tutte alla torbida relazione tra i fratelli Kennedy e Marilyn Monroe.

Menzione di riguardo per la sceneggiatura di Dustin Lance Black, già vincitore dell’oscar per il film sulla vita di Harvey Milk, il primo dichiarato politico omosessuale di rilievo americano.

Come diceva lo stesso Hoover la storia si ripete e in effetti osservando lo svolgimento dei fatti dell’epoca, non del tutto lontana, ci si accorge che molto si sta verificando nuovamente seppur in ambiti diversi sulla base di una tecnologia e uno sviluppo che forse non avrebbe permesso a Hoover di accumulare un tale potere ma sicuramente avrebbe potuto caratterizzarne le capacità.

Personaggio ben scavato e ritratto con forte attenzione alle sue interazioni intime e profonde con la madre (interpretata da una stupenda Judi Dench, alla sua prima collaborazione con Clint) oltre che con i suoi più fedeli collaboratori Clyde Tolson e Helen Gandy rispettivamente interpretati da Armie Hammer (era uno dei gemelli Winklevoss in “The Social Network”) e da Naomi Watts.

Se l’interpretazione di Leonardo di Caprio, che incarna il protagonista dall’eta di 20 ai 77 anni, convince, (si è proposto lui stesso a Clint e ha studiato attentamente la vita di Hoover come un bravo soldatino) qualcosa da ridire sovviene su Hammer e la Watts che appaiano un po’ ridicoli nei panni dei loro personaggi in anzianità . Quel trucco un po’ pesante che rende difficilmente credibile una figura in età avanzata  incarnata da un 30enne, un esperimento pericoloso che non funziona sempre…

Attore feticcio di Sergio Leone, famigerato ispettore Callaghan, spietato pistolero, poi regista di successo con i premi Oscar di “Gran Torino”, “Million Dollar Baby” e “Gli Spietati”, Eastwood ha avuto anche un’esperienza, seppur di soli 2 anni, come sindaco della sua cittadina in California, Carmel. Ma noi che ci aspettavamo qualche emozione in più in quest’ultimo lavoro, affascinante solo a livello di ricostruzione storica, lo ricordiamo più volentieri per due pellicole straordinarie (seppur cosa impossibile vista la lavorazione e la partecipazione in quasi 100 film), che hanno avuto meno fortuna: “Honky Tonk Man” del 1982 (magnifico ritratto di un cantante country minato nel fisico) e nel più recente “Changeling” del 2008, in cui ha diretto una Angelina Jolie (si, proprio lei) che avrebbe meritato la statuetta.

 Fabio Vergani

 

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