HILDUR GUONADOTTIR
Saman | Kudo
Saman significa “insieme”. In questo nuovo e introspettivo album, Hildur Guðnadóttir studia le risonanze del suo violoncello con altri strumenti, in modo speciale la sua voce. Davvero ammaliante, come sempre anche se ciò che ci colpisce maggiormente di questo nuovo straordinario album è l’interazione con uno degli strumenti più impressionanti dei quali la giovane islandese è padrona: il silenzio.
Un album di pura estetica bellezza senza compromessi, dove il suono, sia klang o foné, diviene significato, lasciando il significante svuotato, come la pelle di un serpente dopo la muta.
Araldi di possibili futuri, frammenti di memorie sepolte, rifrazioni di verde sottomarino, linee di confine tra acque e terraferma. Ancora una volta Hildur mette a dura prova la capacità di non abbandonarsi estaticamente, da parte dell’ascoltatore, confondendo come brume autunnali i già labili confini tra universi onirici e ciò che si suppone essere realtà oggettiva. Il violoncello accarezzato con languida sensualità, protagonista anche sulla flebile voce che, gravida di memorie pre-polifoniche ci ricorda la maestosa, regale furia creativa di Ildegarda di Bingen, trasportata fuori dal tempo, in un medioevo ancora da venire.
Non cediamo quindi al rischio di chiamare ambientale questa musica classica contemporanea (e dio ce ne guardi e scampi ancor di più new age, orrida cornice di una tela vacante).
Qui si tratta di fragile genio che si muove con inusuale grazia nella aromatica sfera dell’eros.
Massimo Marchini