GRAZIANO ULIANI – INTERVISTA
Long distance information
Give me Porretta, Emily …
Cade quest’anno il 30° anniversario del festival: il lasso di tempo di una generazione. Avete osservato significativi cambiamenti nella composizione delle platee lungo tutti questi anni?
Quando siamo partiti, nel 1988, il pubblico era in buona parte formato da ex giovani che avevano vissuto direttamente gli anni d’oro della soul music. La generazione dei ventenni invece arrivava perché catturata da film come The Blues Brothers e The Commitments, e l’opportunità di vedere di persona gli interpreti originali di Soul Man, Mustang Sally o The Dark End Of The Street li affascinava. Poi il pubblico si è allargato, soprattutto perché si rendeva conto che il rhythm & blues era molto più divertente e coinvolgente del blues e così la platea s’è notevolmente ringiovanita. Non posso negare che il successo di Zucchero e di Giorgia in Italia, che soprattutto nelle prime edizioni hanno diviso il palco di Porretta con i vari Rufus Thomas o Mavis Staples, ha portato molta gente ad apprezzare la musica soul.
Qual è l’identikit dello spettatore medio del Porretta Soul Festival?
Trasversale per età e classe sociale, ma competente. L’apprezzamento forse più sincero che ho sentito pronunciare in tutti questi anni a proposito della gente del festival è quello di Isaac Hayes: “Porretta è un paese impregnato di musica soul, è stupefacente. Venendo in Italia pensavo di ascoltare O Sole Mio, invece a Porretta la gente conosce le mie canzoni, non soltanto Shaft o Soul Man, ma persino una oscura You’re Taking Up Another Man’s Place che scrissi per Mable John e che fu ripresa anche da Aretha. Non mi succede in nessun altro posto del mondo di cantare davanti a un pubblico così preparato.”
E’ un pubblico che arriva da tutta Europa per ascoltare personaggi poco conosciuti ma che hanno lasciato una traccia nella storia del soul. Artisti che non hanno avuto la fortuna commerciale di Otis Redding o di Solomon Burke, ma lo stesso di grande qualità. Un pubblico composto non solo da competenti e comunque sempre sicuro di non prendere una fregatura. Oltre la metà degli spettatori sono “aficionados” che aspettano con ansia la prossima edizione, sapendo in anticipo che molti degli artisti che troveranno in cartellone arrivano in esclusiva europea, perché nessun promoter azzarderebbe mai di farli cantare da un’altra parte. Se nelle prime edizioni era importante avere un headlineer di grande richiamo, ora non serve più. Quando James Carr, quello di The Dark End Of The Street, salì sul palco di Porretta nel ’92. Nessuno lo conosceva, ma quando iniziò a cantare ci fu un boato. Da quell’episodio capii che la gente sa riconoscere subito i grandi talenti.
Nel programma di live che affianca la manifestazione maggiore ci sono diverse band italiane dalle provenienze più disparate: come vengono selezionate?
Difficile fare del soul classico senza una sezione fiati e senza coriste. Abbiamo sempre privilegiato formazioni che avessero un organico completo. Almeno 7/8 elementi e soprattutto che facessero del Memphis Sound. Il suono della Stax è un buon passaporto per esibirsi a Porretta. Tutti possono partecipare, è sufficiente inviare un link a porrettasoul@libero.it
Osservando ancora il panorama soul nazionale, nel corso degli anni avete notato una crescita quantitativa e qualitativa delle proposte? Quali nomi, insomma, sarebbero già pronti anche per una ribalta straniera?
Da Porretta sono passate belle voci e belle band. Ricordo Claudio Di Nicola da Atri, sicuramente un fuoriclasse. Matteo Becucci era il front man dei Mr. Pitiful di Lucca, poi nel 2009 ha trionfato a X Factor. Moltissime le voci femminili interessanti. Tanti anni fa mi impressionarono le sorelle Baccaglini, ovvero le Foxy Ladies che poi hanno avuto successo a The Voice of Italy dello scorso anno. Isabella Tiberi da Pomezia, Adriana Persico con Tummy Revival da Roma e Daria Biancardi, palermitana con i bolognesi Groove City hanno tutte le carte in regola per affrontare una ribalta straniera.
L’elenco degli ospiti di riguardo del Festival è tanto lungo quanto impressionante. Non è difficile immaginare che qualche problema con qualcuno di loro la vostra macchina organizzativa l’abbia incontrato: ti va di raccontarci almeno i più curiosi?
I primi anni ero terrorizzato. Non facevo l’organizzatore di concerti di professione ma il venditore di spazi pubblicitari e il mio staff era improvvisato e costituito da volontari che nella vita facevano ben altro. Solomon Burke, abituato ad alberghi principeschi, si trovò alloggiato in un albergo dove nel bagno c’erano i sanitari pensili, che non poggiavano per terra e temendo di fracassarli – pesava 240 chili – fece una scenata memorabile. Cicero Blake, stagionato soul man di Chicago che aveva una frattura al bacino, rimase incastrato nelle porte dell’ascensore dell’hotel, pochi istanti prima di salire sul palco e intervenne la protezione civile. Wilson Pickett voleva una donna. Sembrava una scena di Amarcord di Fellini. Alla fine però si accontentò di una pizza … Credo però che la grande passione per la musica soul del pubblico di Porretta abbia fatto passare in secondo piano la nostra disorganizzazione, tanto che alcuni anni fa Peter Guralnick scrisse: “Nel corso degli anni ho assistito ad un sacco di festival soul e ho visto praticamente ogni artista apparso a Porretta (Solomon, Wilson Pickett, Rufus, Otis Clay, Ann Peebles, LaVern Baker, William Bell) esibirsi anche da altre parti, però mai in maniera così intensa e sentita e non ho mai visto nessun artista andare tanto in profondità nello spirito della manifestazione come ho visto fare a loro sul palco del Festival di Porretta”.
Quali effetti concreti ha sortito il gemellaggio del Festival con lo Stax Museum e il Center For Southern Folklore di Memphis?
A Memphis considerano Porretta la vetrina europea del Memphis Sound. Ci danno il merito di aver allungato la carriera a tanti artisti e di aver dato loro la possibilità di farli conoscere alle nuove generazioni. Lo Stax Museum e il Center For Southern Folklore sono testimoni del lavoro di promozione e valorizzazione della loro musica. Molti europei sono arrivati a Porretta dopo aver visto le nostre “memorabilia” a Memphis.
Sempre a proposito di curiosità, ci piacerebbe sapere se la vostra proposta di intitolare un parco e una via di Porretta Terme rispettivamente a Rufus Thomas e Otis Redding ha incontrato a suo tempo qualche resistenza da parte delle istituzioni locali.
All’inizio è stata durissima. Sarebbe stato molto più facile proporre una Via De Gasperi o Togliatti. Poi anche l’amministrazione cittadina ha capito che di Porretta si parlava di più per la soul music che per le acque termali. L’ultima volta che Solomon Burke venne a Porretta, era il 2009, disse: “…avete intitolato un parco a Rufus e una via a Otis. Io mi merito almeno un ponte!”. E il Sindaco di Porretta ha dato l’ok per intitolare a Solomon Burke il ponte della stazione.
Elio Bussolino