GIGI MASIN live
Ho conosciuto Gigi Masin nel 2009, nella sua Venezia, in occasione di “Una futuribile notte d’inverno”, evento che prevedeva un’interazione tra il reading del racconto Yu Ken Elp Yu?di Mirco Salvadori e i suoni nostri e di altri artisti (tra cui Enrico Coniglio). Lo ritrovo esattamente 10 anni dopo, in giorni in cui le cronache riportano di una Venezia messa in ginocchio dall’acqua e dall’incuria, in tempi di climate change e di rigurgiti fascisti. Lo ritrovo in un momento storico in cui tutte le parole del titolo di quella bellissima iniziativa di 10 anni fa sono state spazzate via ed è rimasta solo l’ultima: “inverno”. Con il suo gelo a sferzare le nostre anime.
Lo ritrovo in uno di quei posti che avrebbero dovuto insegnarci qualcosa: Il Museo del Sottosuolo, un antico acquedotto greco-romano scavato nel tufo, divenuto rifugio antiaereo durante la seconda guerra mondiale, a 25 metri sotto la superficie della “città stratificata” per eccellenza, Napoli. Uno dei posti più suggestivi e forse più significativi della città, un labirinto di cunicoli e stanze sulle cui pareti ci sono ancora i graffiti di chi trascorreva lì sotto, ore, giorni, settimane per scappare dalle bombe e dalla bramosia di morte della bestia umana. Uno di quei luoghi la cui memoria avrebbe dovuto rendere “futuribile” qualsiasi notte, qualsiasi giorno di qualsiasi stagione da lì a venire.
Quando scendo i 100 e passa gradini che ti portano nelle viscere di Napoli, incontro subito Gigi, seduto in attesa di iniziare il suo live in prossimità di un blocco di pietra tufacea sovrastante che gli avrebbe fatto da palco naturale. Saluti, abbracci, sorrisi, chiacchiere, un drink, mentre in sottofondo apprezziamo insieme le sperimentazioni di IBTABA, a cui Spazio Intolab, l’associazione culturale che ha realizzato l’evento, ha sapientemente affidato l’ouverture. Neanche mezz’ora e arriva il momento di iniziare. Un rapido tuning della strumentazione ed ecco i primi suoni. Scontato sottolineare l’alchimia che si viene subito a creare tra le visioni sonore di Masin e il silenzioso canto della pietra gialla che impone la sua presenza ovunque.
Il live comincia con stratificazioni di accordi che si rincorrono, amanti che si cercano senza mai incontrarsi tra note di piano a volte appena accennate, a volte prorompenti, quasi un respiro improvviso per poi rituffarsi in apnea. Le atmosfere, i colori che Masin è capace di generare sembrano collocarsi idealmente nel solco tracciato da grandi maestri giapponesi come Hiroshi Yoshimura. Colpisce quanto il suo tocco pianistico sia capace di addolcire i suoi design più cupi, così come colpisce la sua capacità di usare il piano per controllare e gestire le sfumature dei suoi arrangiamenti più lussureggianti. Nonostante la diversità di stili delle sue composizioni, la sua impronta identitaria è sempre riconoscibile e ben definita. Ed è così infatti che si passa da piece dai tratti sincopati a lunghi fraseggi con cassa in quattro dal sapore minimal di stampo berlinese, da sovrapposizioni di loop di accordi, pad e violini a momenti di introspettiva concisione stilistica. In buona parte del live, Masin predilige la parte destra della tastiera, giocando su note acute che si diffondono con estrema dolcezza nell’ambiente rarefatto e affollato. Le parti più pulsanti non sono mai scontate e chi ascolta si accorge che è possibile creare un cortocircuito lasciando il corpo muoversi mentre la mente viene accompagnata in tutt’altre peregrinazioni. Strati. Come quelli che caratterizzano questa città in tutto e per tutto.
In ogni esperienza che si rispetti, il concetto di tempo diventa pura astrazione, si annulla e l’unico stato temporale che vivi è il presente, l’attimo, il famoso hic et nunc ed è così che tre quarti del live scorrono senza neanche accorgersene. Gigi lascia i tasti e affida il gran finale alle corde, abbraccia la chitarra e ci accompagna verso una destinazione nuova, l’ennesima dopo un viaggio che ci ha fatto approdare in diverse mete. Ora tutto è introspezione, il suono invita al silenzio, è il suono del vento in una landa desolata. Nel mio sentire, queste sono le parti di un live in cui ti verrebbe voglia di trattenere il respiro per non avere niente altro nelle orecchie e viverti appieno il rincorrersi dei suoni. È l’incantesimo che verrà spezzato solo dal soddisfatto, convinto e appagato applauso finale dei presenti.
A Napoli c’è un museo particolare. Non ci trovi opere in esposizione. Ci ritrovi la memoria che questo paese sembra aver perduto. A Napoli c’è un museo particolare, capace di regalarti idee futuribili come quelle che Gigi e io, insieme a Mirco e a un manipolo di incurabili sognatori abbiamo rincorso 10 anni fa nella città lagunare. Il live di Gigi Masin è emerso con dolce prepotenza dal sottosuolo partenopeo. Uno dei regali più belli che il ventre di questa città ha saputo offrirci.
Emanuele Errante
Napoli, 15 Novembre 2019, Museo del Sottosuolo