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Un film su Adrian Borland e The Sound

WALKING IN THE OPPOSITE DIRECTION

Presentato al Festival di cinema musicale Seeyousound, appena conclusosi a Torino, Walking in the Opposite Direction (2016), è un bel documentario dedicato a Adrian Borland, indimenticato leader della band post-punk inglese The Sound, attiva tra il 1979 e il 1988. Il documentario, attraverso una serie di testimonianze dirette di chi ha conosciuto Adrian e ha lavorato con lui – a cominciare dal padre – e una sistematica raccolta di tutto il materiale fotografico e video disponibile, ricostruisce la carriera e la vita di Borland, dalla band punk con la quale esordì nel 1975, The Outsiders, fino alla sua attività da solista degli ultimi anni di vita, senza tralasciare le collaborazioni con gli altri gruppi che ebbe nella sua, purtroppo breve, carriera. Borland è morto suicida nel 1999 all’età di 41 anni a causa della schizofrenia, malattia che lo ha accompagnato praticamente per tutta la vita.

In occasione delle proiezioni al festival torinese abbiamo incontrato il regista del documentario Marc Waltman, al quale abbiamo posto alcune domande per capire come sia nata l’idea del film e come si sia sviluppato il suo approccio a questo personaggio di culto della storia del rock. Ci ha spiegato che l’idea è nata da un suo caro amico, grande fan di Borland e dei The Sound, che un giorno di tre anni fa gli ha suggerito di fare un film su di lui. Waltman non conosceva assolutamente né Borland né i The Sound ma ne hanno parlato per una serata intera ed è rimasto subito colpito dalla sua storia. In pratica proprio l’approccio non da fan, è ciò che probabilmente ha permesso al regista di portare a termine il suo obiettivo che era quello di girare non un documentario musicale ma piuttosto un film biografico su Adrian Borland, soffermandosi quindi sugli aspetti umani e problematici, legati anche alla malattia, ovviamente intrecciati indissolubilmente alla musica. Waltman ci ha raccontato anche che mentre raccoglieva le testimonianze per costruire il film, andava ad ascoltarsi gli album, rendendosi conto che Adrian aveva raccontato tutto ciò che gli accadeva nelle sue canzoni e nei testi delle canzoni c’è tutto quello che lui stava vivendo in quel preciso momento. Probabilmente chi comprava i suoi dischi allora non lo capiva, ma riascoltandoli adesso, dopo aver conosciuto la sua storia, lo si comprende bene e molti fans, dopo aver visto il film, si sono resi conto di quello di cui parlavano veramente le sue canzoni.

Uno degli aspetti più toccanti del film è la consapevolezza che Adrian Borland ha avuto da sempre della sua malattia e delle sue ineluttabili conseguenze. Nonostante questo, quando si accorge che le medicine che lo curano gli tolgono l’ispirazione non ha esitazioni e sceglie la musica, abbandonando le cure. Ci confrontiamo su questo aspetto con il regista, il quale ci conferma come i testi del brano I Can’t Escape Myself, dal primo album dei The Sound, Jeopardy del 1980, e i testi degli ultimi brani siano simili nell’affrontare l’argomento della sua malattia e come anche il padre si era reso conto che la sua musica era più importante della sua salute. Ma la domanda che emerge dal film, dalle parole di Michael Dudley, batterista dei The Sound, che dichiara “la grande arte non proviene da persone che sono normali”, è quale sia la causa e quale la conseguenza, ovvero la creatività dipende dalla malattia oppure è vero il contrario. Il film non offre una risposta ma, aggiunge il regista, sarebbe bello averlo potuto chiedere a Adrian perché sicuramente avrebbe avuto un’idea precisa su questo da persona estremamente intelligente quale era. È probabile, in ogni caso, che la malattia sia stata una delle cause del mancato successo dei The Sound, molto apprezzati dalla critica ma rimasti sempre un gruppo di nicchia nonostante la loro musica all’epoca fosse assolutamente in linea con quanto stava accadendo in ambito new wave. Forse avere a che fare con una persona problematica come Adrian, che ha dovuto interrompere alcuni concerti per gli effetti depressivi della malattia, non invogliava le etichette discografiche e i promoter a puntare su di loro. Interrogato sui motivi che hanno impedito a una band come i The Sound di raggiungere il successo, il regista aggiunge che avevano un ostacolo anche nel non essere affiatati come band: erano persone che suonavano insieme senza avere una vera sintonia, senza essere amici. Adrian non badava al look e non aveva grande abilità nel catturare le folle, era semplicemente interessato a suonare la sua musica.

Chiediamo ancora a Marc Waltman qual è stata la reazione alla proiezione del film, da parte del pubblico nel suo paese in Olanda, una delle nazioni in cui i The Sound hanno avuto

maggiori riscontri, e soprattutto qual è stata la reazione delle persone che hanno conosciuto Adrian, il padre innanzitutto, e ovviamente l’amico fan da cui è nata l’idea del film. Ci ha spiegato che in Olanda è stato più facile per i The Sound farsi conoscere perché è un paese molto piccolo e nei tour potevano suonare ogni sera in una città diversa in quanto le distanze sono minime e molti fans li potevano seguire in tutto il tour. Walking in the Opposite Direction ha avuto un grande riscontro di pubblico ed è stato apprezzato dalle persone che vi hanno partecipato con le loro testimonianze, incluso il padre di Adrian e il suo amico, che l’hanno trovato veritiero e sincero, in grado di restituire il personaggio senza celebrarlo ma semplicemente raccontando com’era davvero.

Marc Waltmen si è detto assolutamente soddisfatto dell’accoglienza del suo film, al quale ha lavorato per due anni e con pochissimi mezzi. Walking in the Opposite Direction è stato infatti realizzato grazie a un crowdfunding e alla vendita delle chitarre di Adrian Borland, ed è uno dei pochi documenti disponibili sull’artista e sui The Sound. La sua uscita ha aperto la via alla realizzazione del libro, Adrian Borland & The Sound, curato da Giuseppe Basile e Marcello Nitti, e pubblicato da Edizioni Geophanie.

Rossana Morriello

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