FEFF 3: LA DONNA COREANA E I CONFLITTI INTERIORI IN UNA SOCIETA’ MASCHILISTA
Mi sono voluto focalizzare sulla Corea del Sud per osservare da vicino lo stato delle cose e potermi confrontare con l’opinione diffusa (molto italiana e quindi provinciale in termini di massima) di trovarmi di fronte ad un cinema grezzo, all’ombra dei classici occidentali o semplicemente una nouvelle vague in salsa di soia. Da non sottovalutare anche la tendenza a divinizzare ogni lungometraggio che arrivi dal nostro personale paese delle meraviglie, oltremodo distruttivo se non fosse per il rispetto che si deve rivolgere ai selezionatori del festival di turno. Il FEFF si è sempre contraddistinto per l’attenzione al dettaglio (regia, autori, trama) e alla “vendita” del film nel contesto europeo, la cosiddetta posizione. Per ragioni di opportunità certo, ma soprattutto col sano intento di far germogliare sempre più il seme orientale della ragione nel seppur saturo e distorto mercato europeo, per cui mostrare. Ottima la selezione “al femminile” proposta per sottolineare ancora una volta la difficile condizione esistenziale della donna nel pianeta Corea.
CRAZY ROMANCE di Kim Han-kyul – Finalmente anche l’amore coreano intercetta i bisogni primari delle persone e si scontra con la volontà di indipendenza femminile (Gong Hyo-jin, fiera impassibile, adorabile, semplicemente così). Un femminismo docile per una società maschilista e fiera, conservatrice al punto da sfornare ancora oggi una folta schiera di omuncoli buoni solo alla riproduzione della specie. Dinamiche d’ufficio in progressivo riposizionamento.
BEASTS CLAWING AT STRAWS di Kim Young-hoon – Il titolo viene tradotto in “Bestie che si aggrappano a tutto” e non a caso i fatti che mettono in relazione i personaggi di questa trama derivano da intrecci tra “bestie” umane pronte a tutto per scontrarsi senza remora. Individui sconnessi ma uniti dal desiderio di possedere o smerciare denaro. Jeon Do-yeon è protagonista assoluta, una meravigliosa femme-fatale astuta e smaliziata quanto basta per definire le regole nel caos ordito dagli uomini.
VERTIGO di Jeon Gye-soo – Chun Woo-hee è il volto della coreana middle-class, depressa e oppressa dal maschilismo sociale. La sua vertigine è il suo perenne stato mentale, ansioso e angosciato. L’incontro (prima visivo, poi sensoriale) con un lavavetri del grattacielo in cui lavora, innesca in lei un desiderio di uscita senza più alcuna porta d’ingresso scorrevole ad attenderla in ingresso. Un film che genera compassione e allo stesso tempo sprezzo del pericolo di cadere da un momento all’altro..
KIM JI-YOUNG, BORN 1982 di Kim Do-young – Jung Yoo-mi ricalca l’intepretazione della collega in Vertigo. In questo caso si tratta di una donna sposata dalla carriera “spezzata” a causa delle esigenze familiari, con il classico marito assente ma preoccupato dalla decadenza morale e fisica della consorte. Una donna svilita, martoriata dai clichè parentali, “costretta” al mestiere della casalinga, accusata di turbe mentali e diametralmente oppositrice alla caratteristiche primarie della società coreana. Un film scivoloso, docile e appuntito, alla ricerca estentuante di una rivoluzione sociale. Matteo Chamey