DINOSAUR JR
Sesto San Giovanni, Carroponte
10 luglio
Nonostante il trio oggi sia decisamente meno impacciato, fa sempre una certa impressione vedere tre uomini così pacati scatenare l’inferno. Il loro è un noise metafisico, che usa la violenza per ottenebrare la paura e l’insicurezza dei musicisti, anziché per esplodere. Il loro è rumore che offusca anziché tramortire, più spaventato che spaventoso.
Il pubblico del Carroponte, a dispetto del diluvio scatenatosi a metà concerto, il 10 luglio si è goduto uno show a suo modo memorabile.
Mascis, capelli canuti a parte, non è cambiato di una virgola: anche a cinquant’anni suonati rovescia tutti gli stereotipi del frontman rock e si limita a sbiascicare meravigliosamente le sue melodie accorate, indifferente a tutto e a tutti. Non che non voglia interagire con il pubblico: è che proprio non rientra nelle sue corde, al di là di un paio di saluti e di una domanda bisbigliata verso fine concerto, prima del rapido bis (“What do you want to hear?”).
Nel frattempo, il suo alter-ego Barlow (chiunque abbia dedicato cinque minuti ad American Indie di Michael Azzerard ricorderà come la band, negli anni ’80, fosse dilaniata da tensioni interne ai limiti della psicosi, specie nei rapporti fra il dispotico-apatico Mascis e il nervoso-passivo Barlow) aggredisce il basso con una tecnica del tutto particolare: sembra schiaffeggiarlo, addirittura strattonarlo.
Il batterista intanto, con l’uso incessante di piatti e charleston, riempie il suono.
Personalmente credo che i Dinosaur Jr abbiano toccato l’apice in termini di qualità compositiva e di resa espressiva nei primi 3 lavori: Dinosaur Jr portava di peso Neil Young nell’epoca dell’hardcore punk e del noise rock, strizzando l’occhio ai Meat Puppets, ma sfilacciando il suono e le strutture, laddove I fratelli Kirkwood erano sferici e pieni; You’re Living All Over Me fotografava lo psicodramma della band in modo limpido ed efficacissimo, ampliando lo spettro delle sonorità e dilungandosi in trame più corpose e violente; Bug perfezionava la formula iniettando melodie più robuste.
Dopodiché, per i Dinosaur Jr. si è trattato – anche a seguito della reunion del 2005 – di sublimare ripetutamente le proprie idee, ora avvicinando pericolosamente il manierismo, ora riuscendo comunque a scovare formule nuove per ribadire quanto proclamato a voce alta nei primi anni di carriera.
Per fortuna, Give a Glimpse of What Yer Not (fresco di pubblicazione nel 2016) si iscrive nella cerchia delle opere di maniera ma compatte e decisamente ispirate.
La scaletta del concerto, con Goin’ down e Love is.., pesca necessariamente nella tracklist dell’ultimo disco, ma riesce per fortuna a coprire tutto l’arco della carriera dei bostoniani: ecco così la meravigliosa e celebre Freak Scene, con i suoi squarci tellurici di rumore che fanno a pugni con una melodia ai limiti del surf; notevoli – anche per le intatte capacità strumentali della band – pure i cambi di passo di Feel the pain, uno fra gli esiti più progressivi e intricati della loro carriera. Chi scrive ha gradito soprattutto: Little Fury Things, con il suo giro contorto e la melodia ai limiti dell’amorfo (il famoso sbadiglio scolpito di Mascis), anche perché il brano rappresenta una fra le cinque o sei epifanie rock della sua vita; Sludgefeast, capolavoro di noise-pop programmatico sin dal titolo (festa di fango sembra proprio la descrizione perfetta per il loro sound potente che arranca); Just Like Heaven, estesa e romantica.
Un’ora abbondante ben investita ed emozionante.
Francesco Buffoli