Top

DELTA V

Heimat RCA

Il comandante Straker e il colonello Foster sono riapparsi. Avevano fatto perdere le loro tracce oltre dieci anni or sono, decisi di scoprire ognuno il proprio angolo di universo. Rotte diverse li avevano proiettati mille miglia lontani tra loro e da noi, perduti in un cosmo abitato da ufo che non appartenevano allo spazio nel quale avevano iniziato la loro avventura a fine anni novanta. Le prime tracce del loro ritorno sono apparse come scie lucenti nel cielo notturno ma l’incredulità dava a quegli eventi la valenza di flebili cenni di vita che provenivano da chissà quali distanze. Grazie a quelle isolate apparizioni però, in tanti iniziarono a ricordare le molte voci che distribuivano piacere nel vasto delta del loro ascolto: Francesca Touré, Lu Heredia, Georgeanne Kalweit, ricordi indelebili spalmati lungo una manciata di realizzazioni che segnano un nuovo corso musicale in ambito pop elettronico, quel genere che in Italia non ha mai saputo crescere in modo decente, almeno fino all’arrivo dei Delta V. Era dall’oramai lontano 2014 che quelle scie avevano trovato credibilità, dopo le dichiarazioni di Carlo Bertotti conosciuto dai più assidui frequentatori del Delta come Straker. Assieme a Flavio “Foster” Ferri, rispettivamente il comandante e il colonello della serie televisiva UFO, stavano tornando e lo facevano con una nuova voce, quella profondamente naturale e vellutata di Marti. Le rotte sono state programmate per raggiungere la stessa destinazione e dopo dodici anni eccoli rientrati a Heimat, quel luogo indefinito nel quale si ritrovano le proprie radici, lo spazio che conserva i ricordi, che ci appartiene. Il segreto sta tutto nella miscela sonora, un elemento che non deve assolutamente essere sottovalutato, la materia base del diffuso successo tra il pubblico abituato alla facile forma canzone e l’altra fascia di audience che proviene da ascolti più completi di matrice rock-elettronica anni ’80/’90. Un’esempio può essere Disubbidiente, un tappeto sonoro che potrebbe appartenere ad una qualsiasi traccia contenuta nelle compilations della Return To The Source di fine anni ’90. Pattern elettronici, aperture ambient, textures elettrici, downtempo sparsi a piene mani. Il classico ritorno a casa per chi ha vissuto gli anni della nuova esplosione elettronica inglese: Heimat. Così come era successo con il trip-hop dei loro primi album, anche in questo nuovo lavoro i Delta V ci danno dentro iniettando contemporaneità nel suono elettronico, rinascono dalle loro stesse ceneri con un’espressività simile e al tempo stesso diversa, passando di citazione in citazione riprendendo e mediando il linguaggio del drum’n bass, omaggiando il glorioso passato punk italiano con una versione di Io Sto Bene dei CCCP che senz’altro farà discutere (ascoltatela più e più volte prima di esprimervi) e aprendo con una sottile citazione kraftwerkiana in Il Cielo Che Cambia Colore. Un eccezionale lavoro di cesello che mantiene intatto e riconoscibile il loro suono, fin dalla prima nota. Una citazione a parte va fatta per i testi decisamente più maturi, intimisti, a volte felicemente cupi e utilissimi per capire ancor più a fondo la filosofia di questa formazione. Nulla è lasciato al caso, la rima ovviamente si impone – stiamo parlando di un lavoro che esce per la RCA – ma viene creata serbando una poetica che si mantiene libera dai legami del grosso ascolto. Questa è, a mio avviso la grande maestria dei Delta V, mantenere eleganza e qualità in una produzione destinata alla grossa difusione commerciale. Non ho mai nascosto la mia ritrosia nel penetrare dentro la materia pop, anni di militanza indipendente mi hanno trascinato ben oltre queste manifestazioni per molti versi fini a loro stesse ma dodici anni trascorsi senza il suono del duo Straker e Foster iniziavano a pesare ed è stato un vero sollievo indossare le cuffie e viaggiare nuovamente nel loro spazio, a cavallo di quella luminescente scia di pop elettronico che sola sa brillare come nessun’altra. Ora sto bene, sono tornato a casa. Mirco Salvadori

Condividi