CRYSTAL CASTLES
Bologna | Zona Roveri | 12 dicembre
Per presentare il quarto album, Amnesty (I), la band canadese scende in Italia per due date, il 12 dicembre a Bologna e il 13 a Milano. È un gelido e nebbiosissimo lunedì di metà dicembre, in cui un pubblico discretamente numeroso (circa 450 i presenti) si ritrova a Zona Roveri, ottima venue felsinea, per assistere alla performance della nuova line-up dei Crystal Castles. Alice Glass non c’è più, e c’è parecchia curiosità per testare l’efficacia della nuova vocalist, la statunitense Edith Frances. L’introduzione al live spetta al supporting act Farrows, one-man band che accarezza il pubblico con una elettronica morbida a mezza via tra dubstep e qualcos’altro, in una esibizione che si concretizza convincendo solo a tratti. L’attesa per il piatto forte della serata aumenta notevolmente, mentre le note di alcuni brani tratti da Unkwnown Pleasures dei Joy Division risuonano nell’aria. Dopo ben sei messe in onda consecutive (!) di Isolation (non ci è dato sapere se la scelta del loop “selvaggio” sia stata intenzionale o il semplice esito di una difficoltà tecnica al banco mixer), un breve brano del Requiem di Mozart introduce i Crystal Castles, quando sono giunte le 22.20. L’inizio, con un oceano di strobo che saranno usate in modo massiccio per tutto lo show, è da k.o. tecnico, perché Concrete, Baptism e Suffocation rappresentano un trittico di inaudita violenza electro-punk. Edith si mostra subito un animale da palcoscenico che non fa rimpiangere Alice, mentre Ethan Kath, berretto d’ordinanza e classico atteggiamento da nerd nichilista, sta sulla destra del palco a dirigere le operazioni dietro ai propri macchinari. Il batterista è sullo sfondo, giusto a sottolineare una ritimica sempre gasata, sopra le righe. Il lavoro del power-trio risulta efficace, con un sound electro-punk eccessivo, violento, che concede molto alla ritmica e, quando si rende melodico, vive dei beat grassi e delle urla di Edith. Dal primo disco vengono selezionate Crimewave e Untrust Us , del secondo risaltano Celestica e Intimate, mentre bisogna rimarcare che i brani dell’ultimo lavoro non sfigurano affatto di fronte al vecchio repertorio, come è evidente da una performance che risulta sempre convincente, per quanto “eccessiva” e volutamente violenta. Il finale è da urlo, perché, alla pari del trittico iniziale, anche quello conclusivo risulta esiziale, con Femen, Wrath Of God e Not In Love piazzate in faccia ad un pubblico caldissimo, che non si è mai risparmiato in balli sfrenati e poghi selvaggi. Settanta minuti di sonorità sparate a volumi altissimi, con un abuso, forse eccessivo, delle strobo, confermano che i CC non sono affatto morti; la creatura di Ethan Kath è viva e vegeta e, come hanno dimostrato alcuni brani dell’ultimo album, è possibile che un’evoluzione del suo sound possa essere ancora raggiunta con le prossime release.
Emanuele Salvini
ph Chiara Enzo