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Cover Story: DEPECHE MODE

COME ANGELI CADUTI DAL CIELO

 

All’inizio era un sogno 

Ricostruire l’anatomia di un mostro sacro, qualunque esso sia, è sempre un compito improbo che mina gli equilibri esistenziali di chi è chiamato a mettersi alla prova. Se poi si tratta di un astro di luce come quello in oggetto, ecco che la corteccia cerebrale viene bombardata da una scarica di flashback mnemonici ansiosi di far ritrovare il bandolo della matassa. Che recuperiamo retrocedendo di oltre tre decadi, per la precisione nell’anno di grazia 1981, quando una misconosciuta formazione di Basildon (Essex) rispondente al nome Depeche Mode, diede alle stampe il suo primo 45 giri, Dreaming Of Me (per la verità uscito a ridosso del Some Bizzare Album, storico sampler-manifesto dove i Nostri presenziavano con una versione primordiale di Photographic), co-prodotto dal patron della Mute, Daniel Miller. La melodia era deliziosa e la frase ritmica accattivante, espressione di una coscienza synth-pop coltivata dall’uomo-macchina Vince Clarke con l’intento di farla arrivare fulmineamente a segno. L’operazione diede i suoi frutti, tanto da essere replicata nelle filastrocche elettroniche di New Life e Just Can’t Get Enough, i due singoletti che seguirono ad intervalli irregolari lo stesso anno. Fu sufficiente una manciata di canzoni strategiche per calamitare l’attenzione della stampa specializzata di allora contestualmente ad una prima platea di fan potenziali, sebbene agli albori i DM furono erroneamente collegati a quel ramo della new wave britannica che diede origine al filone New Romantic facente capo a figure di esteti in erba quali Duran Duran, Spandau Ballet e Visage. Se c’era un’area d’appartenenza cui per contro i DM si dissero pronti a sottoscrivere era la corrente dei nuovi futuristi, vicino a realtà coeve come OMD, Human League, Soft Cell… Per quanto insignite d’un elevato quoziente commerciale, nessuno all’epoca immaginava che quel tris di canzoncine adolescenziali sarebbe stato solo l’inizio di un’ascesa inarrestabile, inesplicabile premessa  di un successo planetario destinato a cambiare la vita di questi virgulti ventenni in tempi relativamente brevi. Sarà però utile fare un passo indietro prima di entrare nel vivo della vicenda. Fu nel 1976 che Vince Clarke si accostò alla musica costituendo con Andrew Fletcher un nucleo denominato No Romance In China, presto disciolto e rimpiazzato da un altro progetto che Clarke partorì con l’amico Martin Lee Gore. Denominato in prima battuta French Look, il nuovo ensemble assunse quindi l’appellativo di Composition Of Sound (intanto Fletcher si era unito al gruppo) prima di ripiegare sul nome che li avrebbe lanciati negli empirei della fama internazionale. Pare che l’idea di chiamarsi Depeche Mode venne suggerita proprio dall’ultimo arrivato Dave Gahan, intercettato da Vince Clarke mentre si esibiva in un club. Decise di contattarlo dopo averne apprezzato le doti canore in una cover di Heroes di David Bowie. Da quel momento i Depeche Mode divennero un quartetto perfettamente amalgamato, adesso potevano contare sulla prestanza di un front-man carismatico e provvisto di stile. Per una band che aveva deciso di mettere in soffitta gli strumenti tradizionali, abbracciando un percorso di musica elettronica, i caldi timbri vocali di Dave Gahan si rivelarono provvidenziali nell’economia di un sound monopolizzato da asettici sintetizzatori. Rappresentava il contraltare ‘umano’ deputato a bilanciare la freddezza artificiale delle macchine: senza volerlo (o forse sì) avevano fatto proprio l’archetipo virtuoso dei Kraftwerk, faro guida imprescindibile per ogni cultore del verbo sintetico. Il primo ad accorgersi di questi illustri sconosciuti, fu l’orecchio fino di Daniel Miller; li vide in occasione di un concerto che tennero il mese di ottobre 1980 sul palco della Bridgehouse a Canning Town: «Un set-up semplice ma efficace, e sebbene fossero ancora agli inizi, le canzoni viaggiavano davvero bene, ne vidi il loro potenziale con chiarezza.» (Daniel Miller, dalle note di copertina della ristampa Collectors Edition 2006 di Speak & Spell). Per la sua etichetta, che fondò nel 1978 allo scopo di promuovere i suoni nuovi, erano perfetti. Chi conosce il fortunato singolo T.V.O.D. / Warm Leatherette che Daniel Miller scodellò sotto il cappello The Normal con il numero di catalogo Mute 001, non avrà difficoltà a capire il perché. Il suo fiuto di talent scout smaliziato non lo tradì… Su Rockerilla di Maggio trovi la cover story completa di Aldo Chimenti.

 

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