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COFFINS

Londra, The Underworld | 21 Giugno

La furia nipponica dei Coffins si scatena a Camden, con uno show che nonostante sia previsto durante il week-end di Hellfest post-Download, attira un buon numero di presenti. In effetti la formazione capitanata dal famigerato Bungo Uchino non capita tutti i giorni nella capitale; la loro presenza nel Regno Unito, grazie all’opera di Nightshift Promotions (https://www.facebook.com/mymusicislouderthanyours?fref=tsw.), è sinonimo di un concerto esclusivo per i palati più difficili da accontentare in materia doom e death. La giornata parte piuttosto a rilento con una performance alquanto deludente da parte dei Sky:lark!: il loro sound, distorto ma senza sostanza, sembra non avere alcuna definizione, tanto che è difficile arrivare alla fine della loro mezz’ora di gloria un po’ troppo sofferta. Il pubblico appare visibilmente annoiato ma l’atmosfera cambia radicalmente con il trio di Colchester Jøtnarr. Nonostante i volume atroci e la distorsione al limite dell’inverosimile, i Jøtnarr si rivelano, headliner a parte, la sensazione della giornata. ll loro sound, un misto accattivante crust e sludge, conquista i presenti grazie a una struttura di base solida e definita, ricca di deviazioni che colpiscono come frecce incandescenti tra un’alternanza di rallentamenti improvvisi e accelerazioni rovinose. Il tutto è co-ordinato alla perfezione dai riffing del chitarrista Chris Moore che si rivela un musicista altamente preparato alla guida del suo plotone. I Jøtnarr sono decisamente da tenere d’occhio, mentre invece la band che segue non si distingue allo stesso livello. Se all’inizio del loro set i Wren attirano una certa attenzione in quanto a tecnicità e presenza sul palco, quaranta minuti abbondanti di set si trasformano in una solfa che rasenta la noia assoluta. La performance dei Wren passa inosservata come quella dei successori: portare sul palco amplificatori degni di Wacken Open Air in una venue dalle dimensioni ridottissime come l’Underworld al’inizio può scioccare, ma non per quasi un’ora. Il sound dei Grey Widow, una miscela di sludge, doom e blackened death, è difficile da sostenere anche per i più incalliti che sembrano allontanarsi dalla prime file poco alla volta, per evitare di rimanere assordati a vita. È difficile trovare un appiglio positivo per descrivere il loro set, i volumi atroci sembrano nascondere una sostanza di base. Finalmente arriva il turno degli attesissimi headliner. “We are Coffins from Japan” annuncia con orgoglio da caposquadra il chitarrista Bungo Uchino prima di scatenarsi con la sua dodici corde infuocata. Dal momento in cui il frontman Jun Tokita arriva sul palco, il set prende quota e non rallenta. Gli assalti forsennati e irrefrenabili in Hellbringer compensano le architetture più trascinate di The Colossal Hole. Il sound dei Coffins è cupo di base ma ha una dose di groove che appare all’improvviso. Decisamente i Coffins non sono per tutti: sono da assaporare poco alla volta dando attenzione a ogni singolo dettaglio, in particolare, oltre agli attacchi di chitarra e ai vocalizzi taglienti, alla solidità di gruppo che si riflette nelle sonorità. Nel complesso la serata si rivela piuttosto deludente, troppe band scollegate tra loro: lo show sarebbe stato perfetto con un set più lungo dei Jøtnarr e con uno ancora più lungo dei Coffins.

Fabiola Santini (testo e foto)

 

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