Top

CLUB2CLUB 2014

Torino | 5/9 Novembre 

Con un cartellone votato a un’attitudine di confine tra generi e una spiccata propensione alla ricerca sonora (non necessariamente dance), Club2Club 2014 si presenta ricco e articolato più che mai. La grande quantità di nomi presenti implica necessariamente delle scelte (sofferte), spesso dettate dall’oggettiva resistenza fisica. Questo per anticiparvi che Apparat e Vessel (rispettivamente alle 3:00 e alle 5:00 del mattino), ahimè me li sono persi. Detto ciò, ecco una sintesi rigorosamente casuale di quello che in questi cinque intensi giorni di musica ho avuto modo di vedere e ascoltare.

Franco Battiato
Posizionato in primissima serata, Battiato per certi aspetti è la vera sfida di questa edizione. Un clash generazionale voluto e istigato dagli organizzatori, che finisce per dividere il pubblico presente: fan in visibilio, clubbers attoniti. L’esibizione è indubbiamente intensa, bilanciata tra momenti (più o meno lunghi) di pura improvvisazione digitale e sapiente recupero di gemme del passato. Una su tutte la clamorosa “Voglio vederti danzare” che, oltre a mettere d’accordo un po’ tutti, si pone come vero e proprio manifesto programmatico per il proseguimento della serata. Alieno e a tratti provocatorio, Battiato si conferma anima culturalmente inquieta e proprio per questo in grado di affascinare. Anche nel 2014.

Tiger&Woods

Un bel tuffo negli anni ottanta rivisitati con la consueta classe di questo moniker, che prosegue con coerenza il percorso tracciato nell’ultimo lustro. E obbiettivamente, passato il momento del trend isterico, la nu-disco continua a esercitare un innegabile fascino danzereccio a cui è difficile resistere. Forti di alcune edit a effetto e di una cassa dritta contagiosa, regalano un’oretta di musica che scivola via morbida ed euforica. Grande gusto.
Kelela

In una sala rossa già ampiamente accaldata, Kelela fa il suo ingresso sfoggiando fisico impeccabile e voce clamorosa. Le credenziali che su disco la presentavano come uno dei nomi fondamentali del nuovo r’n’b contemporaneo vengono dunque confermate, in un live che la pone giustamente al centro della scena. Sensuale come non mai, coinvolge tutti grazie alla naturale spontaneità con cui effettua vocalizzi impossibili ai più. Ne sentiremo presto parlare ad alti livelli.

 

Jungle

Sicuramente non facilitati dall’acustica, i Jungle lasciano perplessi. Appaiono infatti un po’ fuori contesto, tanto che tra il pubblico meno giovane i paragoni che circolano tirano in ballo dagli Spandau Ballet ai Roxy Music, passando per gli Stereo Mc. In effetti anche il loro singolone Time risulta scarsamente intelligibile sul palco del Lingotto, fallendo parzialmente nell’impresa di riscaldare gli animi. Rimandati in situazioni più consone.

 

Caribou

Salutato da un vero e proprio boato, Caribou si presenta in formazione trio: macchine, batteria e (parecchie) percussioni a modellare un sound via via sempre più stratificato, in grado di smuovere il pubblico sia a livello emozionale che fisico. Can’t Do Without You (più volte utilizzata nelle varie location come  sottofondo tra un set e l’altro) è il tormentone del festival e si conferma uno dei brani di punta di questo autunno. Durante l’esibizione permane questa sensazione di eterea sospensione che caratterizza anche il recente Our Love, ma si fa spazio in maniera prepotente anche un’inedita componente houseggiante, che riesce nel difficile intento di far muovere i piedi in maniera intelligente.

 

SBTRKT

Altro nome attesissimo in cartellone e altra grossa soddisfazione per tutti i presenti. Il suono dell’east London esplode nel padiglione fiere al pari di un caleidoscopio di colori, generato dal groviglio di macchinari manipolati con scioltezza da Aaron Jerome. Suoni acustici ed elettronici si fondono alla perfezione, riproponendo quasi per intero la scaletta del recentissimo Wonder Where We Land, ben supportato da visual dal forte impatto emotivo. Una performance concreta e senza fronzoli.


Ninos Du Brasil

Avvolto in uno sciame di percussioni tribali, il live del duo italiano ha prima di tutto un merito indiscusso: far scatenare le ragazze presenti. Va da se che questa felice propensione rosa generi immediatamente un’atmosfera piuttosto calda, costantemente sollecitata dall’eclettico mix di elettronica, trance e samba che trasforma il tutto in un gioioso sabbah. Una formula forse un tantino ripetitiva, ma di sicuro effetto.

 

Chet Faker
Con barbone e codino d’ordinanza, l’australiano si presenta solitario sul palco armato di microfono, tastiera e diavolerie varie. Incanta i presenti grazie a una timbrica che rende memorabile ogni nota e ogni passaggio. I brani vengono a volte interrotti volontariamente per dialogare con il pubblico, in una situazione di reciproca intimità che riscalda i cuori. Soul ed elettronica a braccetto in maniera a tratti persino inedita.

Kele
Ipervitaminizzato, il cantante dei Bloc Party si ripresenta in versione electro-dance. Con un dj alle spalle e proiezioni in sincrono propone uno show incentrato sul recente Trick che, nonostante fosse parso un album opaco, in questa dimensione ha quantomeno il merito di andare dritto al punto: cassa in quattro, buona presenza scenica e slogan neppure troppo banali ripetuti all’infinito. Dopo un inizio incerto, la sala a poco a poco si gremisce regalando anche sprazzi di genuino entusiasmo per il buon Kele, che si dimostra in grado di viaggiare con le proprie gambe senza tirare in ballo il passato.
Visionist

Parte un po’ in sordina per poi esplodere nel finale. Tra le cose più belle sentite in questa edizione, Visionist ha l’indubbio merito di rendere fruibile un genere non propriamente friendly come il grime. Un approccio fuori da schemi prestabiliti e un’innata propensione al groove si manifestano in un set poliedrico e giocoso, in cui le tinte fosche e minimali vengono progressivamente stemperate dall’attitudine alla contaminazione. Che genera sobbalzi del tutto inediti.
Gianluca Servetti
apparat_c2c14_111014 futurebrown_c2c14_111014 caribou_c2c14_111014

Condividi