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CLUB TO CLUB

Torino | 5 novembre

Con l’edizione 2016, Club To Club abbandona definitivamente le coordinate dance oriented degli esordi, configurandosi come avamposto d’eccellenza per le nuove tendenze musicali. E allora ecco che dopo il picco “indie” dello scorso anno con Thom Yorke, il festival torinese si ripresenta al nastro di partenza con un cartellone espressamente votato alla sperimentazione e alla ricerca sonora. Non stupisca dunque la presenza del caos sensoriale firmato Swans, del misticismo ancestrale dei Junun (creatura ibrida generata da Shye Ben Tsur e Johnny Greenwood/Radiohead) o dell’avant-pop di Arca. Così come non è davvero il caso di sorprendersi per l’inserimento in cartellone dell’hip hop mutante di Clams Casino, o di quello italianissimo di Dark Polo Gang (secret guest nel set di One Circle) e Ghali. E proprio il ventenne di Baggio è autore di uno dei live più significativi della serata di sabato. Non tanto per l’aspetto tecnico, quanto per il carisma e la personalità che il rapper lascia trasparire sul palco, davanti a una folla che definire eterogenea è dir poco: si va dal nonno che accompagna la nipotina tredicenne, al ragazzo con la felpa di Kendrick Lamar, al gruppetto second generation, al veterano della ballotta. Ghali sembra mettere tutti d’accordo. Con buona pace di chi non riesce a guardare oltre l’autotune, lo scriviamo a chiare lettere: se non cadrà vittima dell’hype, l’album previsto per il 2017 segnerà il suo definitivo trionfo. Prima di lui, nella sala gialla, Jolly Mare intrattiene i primi arrivati con un set molto colorato: suona Peggy Gou, Ponzu Island e qualche suo pezzo, intervallando il tutto con live scratch e urletti al microfono. Divertente. I Junior Boys sono invece in versione live, con un Jeremy Greenspan fisicamente appesantito ma sempre dotato di una voce memorabile. Un’oretta dedicata al nuovo disco, in cui la title track Big Black Coat spicca su tutto. Dj Shadow è un tuffo carpiato negli anni novanta: sottolineare l’importanza di Endtroducing sarebbe superfluo. Così come elogiare la splendida resa dei visual che dominano il palco, aiutando non poco a entrare nel mood corretto per godersi la reinterpretazione di questo grande classico. Daphni-Caribou punta invece sulla festa, regalando un dj-set che mischia a suo modo le tre tendenze più in auge al momento sulla pista: rare funk, afro e acid house. Un delirio di due ore, con alcuni momenti oggettivamente coinvolgenti. Gran finale – almeno per me – con Jon Hopkins. Il produttore inglese spinge l’acceleratore nell’immensa sala del Lingotto, regalando ampie dosi di cassa in quattro (cosa tutt’altro che scontata quest’anno), per la gioia di tutti quanti.

Appuntamento al 2018.

Gianluca Servetti

ph Daniele Baldi, Andrea Macchia

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