Top

CHRONORAMA

Tesori fotografici del 20° secolo

Venezia – Palazzo Grassi 12.03.23 | 07.01.24

di Mirco Salvadori

Appoggiato al pozzo in Campo San Samuele di fronte all’entrata di Palazzo Grassi, cerco di trovare un sentiero, un percorso che mi permetta di capire cosa mi aspetta, quale tipo di racconto mi troverò ad ascoltare, quali saranno le immagini che lo andranno a completare.

Sfoglio il comunicato stampa e vengo sommerso da molti nomi conosciuti, sentiti o nominati. Leggo alcuni estratti delle presentazioni firmate dal Presidente di Palazzo Grassi François Pinault, dalla Chief Content Officier, Condè Nast e Global Editor Director, Vogue, Anna Wintour. Continuo a scorrere la scrittura di Bruno Racine, Direttore Amministrativo Delegato di Palazzo Grassi, giungo scivolando sui pensieri di Matthieu Humery, consulente per la fotografia presso la Pinault Collection e Andrew Cowan, il consulente storico di questa mostra. Chiudo la cartella, attraverso il portone ed entro.

Addetti ai lavori in attesa; stanno giungendo i curatori per una breve presentazione. Mi guardo intorno e ritrovo la ben conosciuta architettura del meraviglioso palazzo del 1700, l’ampiezza e l’altezza del cortile interno con il suo colonnato e lo scalone che conduce alle molte sale dove, piano dopo piano, il tempo attende di essere nuovamente vissuto attraverso l’esposizione delle sue immagini, scatti fotografici a partire dagli anni 10 del ‘900 fino al 1970.

So che le presentazioni servono, sono un ottimo corollario per chi deve poi descrivere le intenzioni dei curatori, quanto è stato esposto e perché. Essere veneziano di questi tempi però, significa soffrire di un male invisibile e sempre più presente. Avere a disposizione un’intera mostra d’arte, immersi nel silenzio che abita le stanze di Palazzo Grassi, è una tentazione a cui non si può resistere. Questo il motivo per cui mi ritrovo a salire il maestoso scalone, allontanandomi dal vociare di un pubblico che non è afflitto del disturbo d’ansia più sofferto dagli ormai esigui abitanti  rimasti in Laguna: l’agorafobia.

GLI ANNI DIECI

Questa mostra ha il dono di agire sul tempo. Lo trasforma in esperienza sensoriale capace di ribaltare le sue ferree regole. Il tempo perde la sua prerogativa e smette di avanzare. Ad esser più precisi, gira su se stesso e riappare davanti ai nostri occhi come materia ancora viva, anche se popolata da figure che sappiamo non esser più ma di cui percepiamo distintamente la presenza. Le sale dedicate agli anni dieci del 1900 danzano di silenziosa vita che surclassa di gran lunga la nostra reale vita odierna. Il nostro sguardo è abitato dal sussurro di quelle labbra, attratto dalla diafana bellezza di quei volti, irresistibilmente conquistato dallo sguardo dell’attrice Francesca Bertini ritratta in uno scatto dello Studio Pinto per Vanity Fair nel 1919. Tre sale espositive, una serie di immagini che al pari di portali temporali, immergono il visitatore nell’inizio di un viaggio nel quale sarà impossibile sentirsi soli, nel quale sarà altrettanto impossibile riuscire a vivere il tempo come elemento stabile. Inizia la danza e sarà frenesia di sguardi, gesti, movenze, espressioni solo apparentemente chiuse dentro cornici che in realtà non possono trattenerli. 

La divina Bertini mi è testimone!

GLI ANNI VENTI

Non ancora usciti dalla notevole esperienza sensoriale dall’intenso sentore di violente profumazioni a base di ingredienti giunti dal lontano oriente, ci immergiamo negli anni venti, un’epoca nella quale la modernità iniziava ad imporsi. Nomi e fisionomie più familiari iniziano a comparire lungo il tragitto: Jean Cocteau, James Joyce, Joséphine Baker, Bette Davis, presi a caso in un universo di immagini in movimento, un movimento visibile costruito sulle riproduzioni di personaggi e luoghi – soprattutto dell’arte e della scrittura – che abbiamo avuto modo di conoscere a fondo, a cui vorremmo dire molte cose, al pari di veggenti capaci di vedere nel (loro) futuro. Ciò che più colpisce scorrendo queste fotografie, è la volontà di ricerca, di esplorazione, anche in questa decade rappresentata dagli sguardi che ci fissano, quasi a chiedersi se ancora sono in grado di affascinarci e trasmettere l’insaziabile bisogno di scoprire cosa il futuro poteva riservar loro.

GLI ANNI TRENTA

Durante questo viaggio da poco iniziato, non mi sono curato di citare coloro che questa mostra l’hanno praticamente costruita ovvero i fotografi del periodo. Sarebbe impossibile citarli tutti come servirebbe un testo a parte per descriverne le varie peculiarità. Presenti lungo le pareti delle varie sale espositive ci sono i maggiori rappresentanti della fotografia dei vari periodi, molti immersi in lavori dedicati a riviste di moda tra cui Vanity Fair e Vogue, quest’ultima da sempre polso sul quale misurare il battito del tempo. 

Hollywood, l’America, le dive e i divi, il design, i pittori del lusso della calma e della voluttà  dei primi del ‘900, la designer di moda e la sua icona, il cinema e la sua icona, gli outsider con ai loro piedi pezzi sparsi di bicicletta, rappresentazione di un futuro che presto si avvererà.

GLI ANNI QUARANTA

Le immagini simbolo del decennio raccontato in CHRONORAMA riguardanti gli anni quaranta, appartengono a Cecil Beaton, erroneamente immaginato come fotografo immerso nella bellezza dell’estetica fine a se stessa. All’improvviso ci si scontra con la devastazione dei bombardamenti sulla città di Londra e si fatica ad abbinarle allo scatto della sua macchina fotografica. Questo è l’effetto della guerra, una tragedia che la maggioranza dei visitatori di questa mostra non avrà conosciuto direttamente ma che fa ormai parte del nostro quotidiano così come faceva parte del quotidiano di chi, in quel tempo disastroso, ne era vittima. L’immersione in quel periodo temporale porta in superficie la divergenza tra la realtà americana apparentemente intonsa, appena sfiorata dal conflitto e quella europea, preda del delirio e della distruzione. 

GLI ANNI CINQUANTA

Forse la prima fotografia a colori che si incontra durante la visita lungo gli spazi espositivi nei quali il tempo sembra non possedere tempo. E’ uno scatto di Irving Penn che ritrae la sua consorte distesa in un prato in fiore, il libro di Gertrude Stein su Picasso stretto nella mano. E’ il 1952 e si procede nuovamente verso la libertà, libertà di esprimersi, rappresentare e rappresentarsi come Francis Bacon che appare, in uno scatto di John Deakin del 1952, al centro di una carcassa di  animale macellato e sezionato in due, appeso sul nero impenetrabile di uno sfondo che ben rappresenta il suo agire artistico. O ancora Jackson Pollock fermato sulla pellicola da Hans Namuth nel 1950, intento a lasciare le sue tracce su questa terra, inconsapevole del poco che ancora  ne aveva a disposizione. Il tempo che in seguito lo avrebbe reso immortale. E nuovamenta l’alta moda, l’interior design, Picasso e Modigliani, l’architettura contemporanea del periodo e lo splendido scatto di WEEGEE che ritrae il cantante Johnnie Ray attraverso un’immagine scomposta, distopica, assai vicina a quanto ora noi percepiamo del mondo che ci circonda.

GLI ANNI SESSANTA E SETTANTA

Questa corsa dentro, attraverso e con il tempo si sta avviando verso la sua fine con gli ultimi due decenni, annate che molti di noi sentiranno più vicine per averle vissute e, al tempo stesso, assai lontane per quanto ora sta succedendo, a causa della diffusa regressione culturale e sociale che quegli anni avevano contribuito a combattere. 

Il cinema, la musica, la moda imperano negli scatti fotografici, con i volti che assumono espressioni lontane da quelle incontrate nella nostra corsa lungo il tempo lasciato appeso nelle sale alle nostre spalle. Bisogno di apparire, edonismo, pose, bellezza ritoccata, disimpegno, attesa di un futuro che da lì a poco si sarebbe dimostrato devastante per chi credeva nella diversità e combatteva l’omologazione. Stavano giungendo gli anni ottanta e poi i novanta e poi la fine del secolo e poi, il presente, mentre in uno scatto di Ugo Mulas del 1964, Marcel Duchamp appoggiato ad una colonna di granito, già ci guardava con aria tra il disperato e il divertito, Man Ray ci soffiava negli occhi il fumo della sua incredulità in una foto di Robert Freson del 1965 e Lucio Fontana, decisamente alterato nei nostri confronti, impugnava il suo fidato taglierino in un’immagine di Ugo Mulas del 1964. Senza descrivere poi la costernazione nello sguardo di Joseph Beuys descritta da Gianfranco Gorgoni nel 1971 o la risata sarcastica di Malcom McDowell, l’Alex di Arancia Meccanica, un drugo che ben si sarebbe adattato alla diffusa violenza dei nostri tempi.

CHRONORAMA è un intenso viaggio intriso di arte, moda, stile, sguardi, cambiamenti, società, design, monocromia e colore, innovazione e soprattutto figure femminili perché sono le Donne le vere protagoniste di questa imperdibile mostra veneziana.

Foto 1: Chronorama

Foto 2: BAILEY_MickJagger

Foto 3: RUBARTELLI_ModelVeruschka

Foto 4: PARKER_DorianLeighAndSuzyParker

Foto 5: BEATON_MarleneDietrich

Foto 6: HOYNINGEN-HUENE_JosephineBaker

Foto 7: MICHALS_TwoModelsOneIsChrisRoyer

Condividi