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CAN

La cover story di Rockerilla di Giugno è composta da un articolo a più mani a firma di Enrico Ramunni, Elio Bussolino, Michele Casella e Roberto Mandolini:

 

La storia ritrovata di Enrico Ramunni
Il design della confezione, che allude alle bobine di nastro dell’era analogica, contribuisce all’aura leggendaria che immediatamente si è venuta a creare attorno a The Lost Tapes dei Can, tripla raccolta di inediti rimasti a prender polvere negli archivi – molti di essi per più di quarant’anni – e che sistemati tutti assieme hanno la (giustificata) pretesa di narrare la storia “alternativa” del laboratorio sonoro di Colonia che incarnava la faccia oscura della musica tedesca di fine anni ’70, quella che guardava con disincanto al sogno mistico dei Kosmischen Kuriere. L’approccio sperimentale e non commerciale all’elettronica, le liaison con il mondo accademico (con il tastierista Irmin Schmidt a rappresentare il John Cale della situazione), l’esplorazione di cellule ritmiche ossessive (nello stile inconfondibile di Jaki Liebezeit), l’attitudine alla dilatazione dei tempi, la contiguità con il cinema, la fascinazione per la pop art: tutto questo contribuì a fare dei Can il contraltare ai Velvet Underground nel continente europeo, fatta salva la sostituzione di La Monte Young con Karlheinz Stockhausen come nume tutelare e soprattutto del glamour degli artisti di strada della Factory con i macchinari dello Schloss Nörvenich.
Il box con dodici anni di registrazioni (1968-1977) pubblicato dalla Spoon Records (Mute) fa seguito alla lussuosa edizione per il quarantennale di Tago Mago, altro promemoria su un impressionante lascito che a moltissimi ascoltatori è giunto in forma indiretta, attraverso i suoni degli innumerevoli artisti plasmati dalla loro nota primordiale: volendo comprendere fino a fondo il significato della parola “seminale”, è proprio da qui che si dovrebbe partire

 

Intervista a IRMIN SCHMIDT  “Operazopme ‘scuotate i cassetti” di Elio Bussolino
In realtà questi nastri non erano mai andati perduti: li avevamo soltanto archiviati dentro diversi cassetti. In ogni caso, l’intero malloppo è sempre stato sotto l’attenta e severa responsabilità di mia moglie Hildegard…
La precisione teutonica non è solo un luogo comune e Irmin Schmidt ci tiene a ribadirlo, anche se nel corso della nostra chiacchierata al telefono non mancherà di contraddirsi…
è proprio lui, ovvero il principale curatore dell’edizione dei “nastri perduti” dei Can, a riassumerci velocemente gli avvenimenti che lo hanno portato a ripassare in rassegna la montagna di registrazioni  ammassate dallo storico gruppo di Colonia negli archivi del suo studio tra il 1968 e il 1977, oltre cinquanta ore di musica dalle quali è stato estrapolato il contenuto dei tre cd riuniti nel box set.
Nessuno aveva mai pensato di metterci mano prima che lo studio dei Can a Weilerswist venisse acquistato dal Museo Tedesco di Rock and Pop e quei nastri fossero traslocati nella sede della Spoon Record. Con ogni probabilità per la sola ragione che nessuno aveva davvero voglia di riascoltare tutto quel materiale, spesso senza alcuna etichetta che ne indicasse la data e il contenuto, e provasse a metterlo in ordine. All’epoca registravamo qualunque cosa e siccome, specialmente all’inizio della nostra avventura musicale, non potevamo permetterci grandi spese per acquistare nuovi nastri, finivamo per incidere anche su quelli già pieni. Un vero casino. Io stesso non ero particolarmente ansioso di imbarcarmi in un lavoraccio del genere, ma Hildegard ha cominciato a pressarmi sempre più spesso e nessuno è davvero in grado di resistere tanto a lungo alle sue insistenze…
Il materiale selezionato per questo box set equivale a meno di un ventesimo di tutto quello contenuto nei nastri “ritrovati”, tre ore su un totale di cinquanta. Non è difficile immaginare che questo lavoro abbia richiesto un bel po’ di tempo e anche che, riascoltandoli a distanza di tanti anni, tu abbia provato una certa emozione. Quali sono i ricordi più nitidi che il loro riascolto ti ha riportato alla mente?

Can: il suono di un’epoca di Michele Casella
Sogno, psichedelia, ritmi sincopati e visioni ultraterrene hanno caratterizzato la carriera dei Can marchiando a fuoco non solo una band, ma una vera e propria generazione di avventurosi ascoltatori. I riverberi sono ancora ben udibili nella musica dei nostri giorni, sebbene mutati negli equilibri strumentali e spesso nel format di produzione. Il concept di ripetizione – attorno a cui ruotano le ritmiche e spesso l’intero impianto sonoro della band – è tratto distintivo di una serie di formazioni che hanno spesso utilizzato la band di Colonia come ispirazione principale della loro musica

 

 

Discography 1969-1979   di Roberto Mandolini

 

 

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