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CALCUTTA


18 Marzo 2016 | 
Torino


 | Spazio 211

Una volta si usava fare CANZONI che venivano CANTATE da tutta la gente. Oggi invece si usa realizzare ottimi DISCHI che vengono ASCOLTATI dagli appassionati”. Parto da questa citazione di Alberto Testa per analizzare quello che a tutti gli effetti è da considerare il fenomeno alt-pop del momento. In primo luogo va detto che Edoardo D’Erme, in arte Calcutta, è un cantautore e scrive belle canzoni. Semplici, immediate, orecchiabili: quelle con strofe e ritornelli, che reggono anche solo con chitarra e voce, fatte di sing a long e di immagini semplici ma efficaci. Quelle che scriveva Rino Gaetano, o il primo Venditti per intenderci. Canzoni per tutti insomma. Lo scorso Novembre esce su youtube il video di Cosa mi manchi a fare. Il testo parla di superare il dolore per un’amore finito. Qualcosa di universale, con cui chiunque prima o poi ha dovuto fare i conti. Riceve l’appoggio dei vari influencer e diventa un piccolo caso tra appassionati e addetti ai lavori. Poi a gennaio – a sorpresa – il pezzo inizia a passare su Radio Deejay e di colpo la gente (tutta la gente) inizia a cantarla. In ufficio, in macchina, sotto la doccia. E ai concerti. Qui a Torino non cantano solo quella: Gaetano, Frosinone, Del Verde, Milano, sono gridate a squarciagola come veri e proprio classici, davanti a un Calcutta apparentemente al limite dello sfinimento fisico e mentale. La sua presenza sul palco è sciatta, in bilico tra lo scazzo e l’incredulità nel sentire quattrocento persone intonare all’unisono i suoi testi. La giovane band che lo accompagna è solida: i brani non prevedono particolari virtuosismi, ma quello che serve è fatto in maniera precisa. Prima di ogni pezzo c’è sempre spazio per una breve surreale introduzione: un “adesso facciamo…”, uno “scusate ma ho la febbre”, qualche parolaccia. Quasi come fosse un home-concert o una serata con gli amici in sala prove. Ma lui resta distaccato, per nulla empatico, ‘alrove’. Anche quando invita la gente a salire sul palco e una pingue fan con maglietta bianca auto-brandizzata chiede un bacio: prima la guarda attonito, poi abbozza un impacciato e infastidito rifiuto, infine accetta controvoglia. Tornando alla musica, in scaletta c’è spazio anche per alcuni brani pre-Mainstream: la rilettura ye-ye di Arbre Magique e quella post-punk di Mi piace andare al mare i momenti migliori. Si chiude con il bis di Gaetano in versione piano-voce. Un’oretta scarsa in tutto, in cui (tornando ad Alberto Testa) il dato fondamentale è che la gente e gli appassionati cantano insieme. Un Tiziano Ferro per l’indie italiano insomma (paragone assolutamente positivo per quanto mi riguarda), dotato di un talento e di una freschezza compositiva che speriamo non vengano affossate dalle numerose pressioni che inevitabilmente arriveranno con il clamore del successo.

Gianluca Servetti

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