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BLACK MOUNTAIN

Torino | sPAZIO211 | 4 aprile

È ovviamente sull’onda della recentissima pubblicazione del nuovo album IV, il primo in oltre cinque anni di assoluto silenzio, che i canadesi Black Mountain tornano a calcare i palcoscenici d’Europa e d’America per un esteso tour promozionale che, stando alle ultime info in rete, dovrebbe prolungarsi sino all’Estate. Un’esibizione che ha sostanzialmente funto da presentazione in tempo reale di questa quarta fatica discografica prontamente salutata dalla stampa rock specializzata. Parecchi dei brani eseguiti la sera del 4 Aprile presso lo sPAZIO211 provenivano infatti da lì, a consegnare in sede live gli ultimi frutti di una band che è andata avanti seguendo le proprie inclinazioni creative, adoperatasi in condizione di perfetta sinergia strumentale tra galoppate psichedeliche, armonie mentali, memorie floydiane, incursioni elettroniche di matrice Kraftwerk, rizomi acid folk di scuola californiana, reviviscenze di blues cosmico e semantiche progressive. Il tutto abilmente calato in una nebbia densa di umori hard rock (oltre che di fumo sintetico sparato ad oltranza sulla scena) e di esalazioni sulfuree in costante fermento, con la elettrica di Stephen McBean pronta a saettare di assolo in assolo sui profili spigolosi della sezione basso-batteria occupata rispettivamente da Jonny Olsin e Joshua Wells. Particolarmente apprezzabile la prestazione di Jeremy Schmidt alle tastiere, sapiente facitore di voli siderali non privi d’un certo fascino retro-futuristicamente tentacolare, mentre le inflessioni canore di Amber Webber emanavano fragranze melodiche vagamente Grace Slick. Un trionfo di suggestioni incrociate insomma, di forze evocative destinate a proiettare in una piega spazio-temporale in bilico tra gli anni settanta e i giorni nostri, secondo un’alternanza di snodi sinaptico-vibrazionali a base di pieni profondi, adagi solenni, salti di clima, effetti wah wah, cori astrali, stacchi rugginosi, epici crescendo, atmosfere lisergiche, arie misticheggianti… Un saliscendi di emozioni e di sussulti plurimi incalzati da avvincenti trasvolate elettriche quali Mothers Of The Sun, Florian Saucer Attack, Stormy High (dall’acclamato e premiato In The Future), Druganaut (dal debut album eponimo), Cemetery Breeding, You Can Dream, Line Them All Up, Wilderness Heart (title track del precedente LP), Defector… Circa un’ora e mezza di odissee acustiche (bis inclusi) attraverso gli erti pendii metallescenti e le avvolgenti foschie narcolettiche della “montagna oscura”.

Aldo Chimenti

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