BARONESS
Ambiguità del sacro
di Gioele Valenti
Savannah, in Georgia, dev’essere un luogo speciale, perché solo un humus culturale d’elezione nutre lo spirito dei propri figli in misura tale da produrre mirabolanti frutti d’arte. C’è chi in passato li ha classificati come abili miscelatori di materiali ampiamente codificati, ma loro si scherniscono, dicendo che l’imperativo non è rifunzionalizzare, bensì scrivere musica, semplicemente, che la musica è un tutto organico, sintesi di spazio e tempo, che a definire le cose in modo sclerotico, alla fine ci puoi solo perdere. C’è da crederci. Se lo si ascolta ad occhi chiusi, l’ultimo cromatico capitolo Baroness, suona come metal, pur nelle sue componenti sludge o nei mille rivoli prog. Ad un secondo livello di lettura, disvela le pieghe di un discorso post, mercé l’intervento del produttore John Congleton (già con Xiu Xiu ed Explosions In The Sky). È però oltrepassando l’ultima soglia, che la band rivela il suo naturale portato punk, un assalto frontale sistematico incluso sottotraccia, tra le righe di un proclama esteticamente sedizioso. Dunque, se da un lato il bacino di pescaggio iconografico è quello dei sempiterni cliché metal, quasi una conoscenza mitologica a priori o archetipica, invece il gioco al ribasso, un ribellismo naturale e il ridimensionamento di ogni arbitraria proiezione intellettualistica sul loro lavoro, ne fanno dei provetti punk…
Deep Colors of Notes
di Fabiola Santini
Sono passati tre anni dall’uscita del vostro ultimo album, Blue. Il 17 luglio è in arrivo il seguito, Yellow And Green. Da dove nasce la scelta di questi due colori per il nuovo doppio album dei Baroness? La scelta dei titoli degli album dei Baroness sta diventando quasi un mito ma ti assicuro che non nasconde alcun motivo particolarmente intricato e profondo. L’uso dei riferimenti cromatici riflette la nostra evoluzione musicale. Credo che i nostri album siano diventati progressivamente più complessi in termini di musica, liriche ed immagine. Ci è sembrato logico dare dei titoli semplici in modo da non dover ideare una frase complicata per identificare il nostro lavoro, correndo il rischio di confondere l’ascoltatore. Abbiamo voluto sin dall’inizio associare la nostra musica con titoli collegati ad una semplice qualità visuale, come hanno fatto i Led Zeppelin per i loro primi quattro album, identificandoli con la sequenza numerica da I a IV. Essendo la prima volta che ci cimentiamo in un album doppio, abbiamo pensato di individuarlo attraverso due colori, Yellow per il primo e Green per il secondo. Collegando questa scelta ai titoli dei nostri album precedenti, ho mantenuto una progressione cromatica nell’artwork, in modo che risultassero omogenei qualora presentati insieme in un box set o nel reparto merchandise dei concerti…
Leggi su Rockerilla di Luglio/Agosto la cover story curata Gioele Valenti e Fabiola Santini.