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BARBARA MORGENSTERN

DAL DANCEFLOOR ALL’AUDITORIUM.
E RITORNO.

Se è vero che le regole sono fatte per essere trasgredite, allora anche i segreti sono fatti per essere rivelati. Eppure definire Barbara Morgenstern il best kept secret dell’underground berlinese non ha senso. Sweet Silence è il sesto album della musicista tedesca, in una carriera che parte dalla seconda metà degli anni Novanta e che l’ha portata a collaborare con Robert Lippok e, più recentemente, con Robert Wyatt. Una carriera, altrimenti, rigorosamente solista. “Mi piace molto produrmi da sola in studio, seduta davanti al computer ad arrangiare i pezzi, entrare nel ritmo, sviluppare il mio suono”.


Morgenstern è uno strano animale musicale che mescola militanza tecno e beat elettronici a una sensibilità pop spaziosa e trasparente, in uno zigzagare fra digitale e analogico, acustico ed elettronico, anthem da club e piccole gemme pop. Il tutto scandito dall’idioma di Goethe e Schiller, che sta all’elettronica (e al Lied, se per questo) come l’italiano all’opera. Una sensibilità pop, la sua, assolutamente continentale, priva cioè della frivolezza anglosassone. Che appaga rimanendo altrettanto immediata, ma senza lasciare quel sottile senso di colpa. È una delle sue qualità più accattivanti. Difficile da spiegare, bisogna ascoltarla.
Sweet silence, prodotto dal veterano tecno T.Raumschmiere (Aka Marco Haas) è il buon inizio per un percorso a ritroso che non mancherà di riservare piacevoli sorprese: come il precedente BM (2008), ambizioso esempio di pop cameristico, impervio e scintillante. O The grass is always greener (2006), uno dei dischi più godibili dello scorso decennio.  Fino alle prime cose: dalle compilation techno di fine anni Novanta a Nicht muss (2003) e Fjorden (2000)…

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