ANGELICA 2015
Bologna, Modena, Lugo | 2-31 maggio
È così lungo e denso il programma del festival Angelica e, di conseguenza, così tanto è il tempo a disposizione per l’elaborazione che, quando cala il sipario su un mese di musica, si è già capaci di fare un bilancio. Ed eccoci, puntualmente, alla fine della lunga festa, a trarre qualche conclusione con ancora i coriandoli addosso e le orecchie che ronzano. Stavolta, anche con un po’ di amaro in bocca. E un dubbio.
In occasione del venticinquesimo anno, delle “nozze d’argento di Angelica”, del “matrimonio di musica e suono”, come lo definisce l’intramontabile Massimo Simonini, il festival ha visto arricchirsi ancora di più il suo cartellone. I giorni senza musica sono diventati davvero pochi. Ma, viene da chiedersi, (ed ecco il dubbio): ne valeva davvero la pena? Valeva davvero la pena diluire il programma dei concerti a tal punto da creare un enorme divario tra performance validissime e/o interessantissime ed altre noiose e/o approssimative?
Intendiamoci, non stiamo certo parlando di un fallimento. All’epoca della crisi, Angelica resta una delle poche istituzioni non solo ancora in vita, ma anche capace di proporre novità interessanti e grandi artisti lontani dai riflettori dei mass media. E di questo gliene abbiamo sempre dato atto. E gliene diamo atto anche quest’anno, ché, scremata la qualità dal superfluo, si è ascoltata, come sempre, dell’ottima musica.
Organizzato, come ormai da quattro anni a questa parte, su gruppi di concerti curati da una serie di artisti ed esperti, il venticinquesimo “Momento Maggio” non ha guardato solo avanti, e sarà ricordato soprattutto per la “reunion” degli Slapp Happy. Una nostalgica prima assoluta che ha colpito al cuore i fan di Henry Cow e affini, ma ha lasciato indifferente il pubblico più interessato alla sperimentazione. Eppure, ascoltare Slow Moon Rose, King of Straw, Scarred for Life e Casablanca Moon dalla voce di Dagmar Krause, accompagnata da Peter Blegvad, John Greaves e Chris Cutler sullo stesso palco, è stato un evento unico, sul quale pochi avrebbero scommesso, rovinato soltanto da un pessimo audio.
Ricca di spunti interessanti, anche la performance del duo formato dalla cantante Shelley Hirsch e dal chitarrista giapponese Kazuhisa Uchihashi, che ha mostrato una grande intesa nell’improvvisazione. Non proprio lo stesso effetto che ha fatto il progetto Nimmersatt, ovvero il trio Greaves (basso) Cutler (batteria) e Daan Vandewalle (organo). Tanto rumore per nulla, verrebbe da dire.
Completamente fuori contesto il duo giapponese Syzygy, complice l’aiuto di basi musicali da piano bar, che hanno fatto passare in secondo piano l’affascinante organo microtonale presentato da Hitomi Shimizu.
Ad incollare letteralmente il pubblico alle sedie è stato il saxofonista Gianni Gebbia, graditissimo ritorno sul palco del Teatro San Leonardo. Gebbia sprizza jazz da tutti i pori, anche quando si limita a soffiare nello strumento. Intenso, intimo, sensuale, l’a solo del saxofonista siciliano è quanto di meglio ha offerto Angelica quest’anno, nonostante i campionamenti dal vivo di Carl Stone abbiano sottratto, invece di aggiungere, fascino alla performance.
Impareggiabile anche il violoncello di Charles Curtis, che ha eseguito autori come Lucier e Feldman con un approccio che si potrebbe definire “totale” allo strumento.
E poi c’è Stockhausen: ormai divenuto un padre spirituale per Angelica, in un rapporto che continua a rigenerarsi anche dopo la scomparsa del compositore. Della tre-giorni a lui dedicata, l’esecuzione integrale di Stimmung da parte dell’ensemble vocale Voxnova Italia è stato il momento più bello, mentre ha suscitato più di una perplessità l’interpretazione di Inori da parte del mimo Alain Louafi, spesso fuori tempo rispetto alla musica, laddove le indicazioni dell’autore sono molto rigide su questo punto.
Altro protagonista di questa edizione è stato John Oswald, presente in più di un occasione. Intrigante il suo omaggio a Dark Star dei Grateful Dead.
Alla fine, tutti insieme appassionatamente, molti degli artisti avvicendatisi sul palco del San Leonardo, hanno formato un’orchestra estemporanea, l’Orkestra Angelica, che si è esibita il 30 maggio, anticipando il vero e proprio finale, lasciato all’orchestra del Teatro Comunale di Bologna diretta da Ivan Volkov, nella cornice dell’Auditorium Manzoni. Gli autori delle musiche erno sul palco o tra il pubblico: Chris Cutler, John Oswald, John Rose.
E così, come ogni anno, dopo un mese così intenso di musica, capace di sconvolgere le abitudini anche dell’ascoltatore meno assiduo, ci si prepara a tornare alla vita di tutti i giorni. E alla musica di tutti i giorni. Con la speranza che Angelica rappresenti sempre meno una piccola parentesi in un libro pieno di convenzioni e ovvietà.
Daniele Follero
ph Massimo Golfieri