Top

ANGELICA ’16

“Le finalità di Angelica sono programmaticamente volte a ignorare gli steccati che dividono la musica in tante famiglie; vogliamo considerare i fatti musicali come unici, propri, al di là della loro appartenenza a generi o stili”

Scriveva così il compianto Mario Zanzani, fondatore di Angelica insieme a Massimo Simonini, nel 1991, quando il Festival era solo un’intenzione programmatica, una speranza.

Oggi, quelle parole sono ancora attuali, ma più forti. Forti di venticinque edizioni senza interruzione. Forti di un Centro di Ricerca (il Teatro San Leonardo, ormai dal 2011 laboratorio di sperimentazione per 365 giorni all’anno) e di un pubblico già adulto, che con il passare degli anni ha attraversato generazioni di audaci ascoltatori.

Non cambiano, le finalità di Angelica. Semmai si ampliano, intensificando quell’idea di collaborazione, di scambio, che sta alla base di ogni singolo concerto. E si arricchiscono, di volta in volta, anche dal punto di vista discografico. In contemporanea al “momento maggio”, infatti, I Dischi di Angelica, etichetta che fa capo alla stessa organizzazione del festival, pubblica in CD la registrazione di due tra le migliori performance che il festival ha regalato negli ultimi cinque anni, nell’intenzione di fermare l’attimo, di fotografare quei “fatti musicali unici” di cui scriveva Zanzani.

Il primo è un disco fortemente voluto da Terry Riley e documenta il concerto di Modena al Teatro Pavarotti, in cui il musicista americano si è esibito insieme al figlio Gyan alla chitarra e al violinista Tracy Silverman. The 3 Generations Trio mette a confronto musicisti diversi tra loro, in un affascinante incontro di stili e approcci guidato dal misticismo di Riley.

Nessuno, invece, immortala l’improvvisazione che ha visto protagonisti Wadada Leo Smith, Roscoe Mitchell, John Tilbury e Pauline Oliveros. Chi era al teatro San Leonardo quella sera può testimoniare della magia che si è venuta a creare tra mondi musicali così diversi.

Abbandonata la location di Lugo, almeno per quest’anno, e limitati i concerti fuori città alla sola Modena, Angelica ha giocato in casa quasi tutto il mese: dei 17 concerti in programma, quasi tutti si sono svolti al Teatro San Leonardo.

Ad inaugurare questa Ventiseiesima edizione è stata la statunitense Ellen Fullman (nella foto in evidenza), che ha presentato per la prima volta in Italia il suo affascinante long string instrument, uno strumento a corde lunghe circa una trentina di metri, disteso in maniera spettacolare per tutta la lunghezza del teatro. Prima da sola, poi accompagnata, la sera successiva, dal fido collaboratore Konrad Sprenger alla chitarra elettrica automatizzata digitalmente (con le corde, in pratica, trattate come generatori di frequenze), ha dato vita a due performance intensissime, in cui protagoniste sono state le note fluttuanti e i loro reverberi erranti, prodotti dallo sfregare delle sue mani ricoperte di colofonia sulle corde. La Fullman si muove avanti e indietro attraversando le sue corde e interagendo con le loro vibrazioni, mentre i flussi sonori elaborati da Sprenger le fanno da eco, amplificandone l’ampiezza.

Un inizio affascinante quanto impegnativo, di questo “momento maggio”, incentrato come sempre su alcuni personaggi ed eventi chiave: il ritorno di Fred Frith e Tim Hodgkinson, grandi assenti alla reunion degli Henry Cow dello scorso anno e i cinquant’anni di Musica Elettronica Viva, con il trio Curran-Rzewski-Teitelbaum di nuovo insieme per l’occasione e Pauline Oliveros a fare da special guest.

La settimana centrale del Festival è stata tutta per il chitarrista britannico. Prima un workshop e un bellissimo solo al Conservatorio G.B. Martini, poi il concerto con l’International Occasional Ensemble al Teatro Pavarotti di Modena, in cui sono stati ricreati e ricontestualizzati alcuni brani del suo repertorio. Nel mezzo, l’omaggio alle musiche di Frith del direttore Domenico Caliri, sul podio dell’Angelica Orchestra.

Non ha deluso Frith, così come non lo ha fatto il suo ex compagno di band Tim Hodgkinson, arrivato al San Leonardo con il progetto Konk Pack, una lunga improvvisazione in trio con Thomas Lehn e Roger Turner. E ha confermato l’entusiasmo dell’attesa il trio MAV. Ma, come sempre succede ad Angelica, non sono sempre o solo i grandi nomi a confermare il buon livello delle performance. C’è, di tanto in tanto, qualche sconosciuto che riesce a calamitare l’attenzione di tutti, anche degli scettici. È stato il caso, quest’anno, dell’ensemble norvegese tutto al femminile SPUNK, autore di una performance improvvisativa travolgente. Di questa edizione ricorderemo anche le proposte più estreme, come i lunghissimi silenzi cageiani di Michael Pisaro, il noise di Reiner Van Houdt con lo stesso Pisaro e il ritratto dedicato al genio irriverente del francese Marc Monnet, in cui invenzione, scrittura, gioco e musica hanno reso giustizia ad un compositore troppo spesso trascurato.

Gran finale con l’orchestra del Teatro Comunale alla basilica
di Santa Maria dei Servi (la stessa location che ospitò qualche anno fa Terry Riley) con un programma incentrato sul minimalismo di Philip Corner e la libertà compositiva di Pauline Oliveros (presente tra i musicisti durante l’esecuzione delle sue “Four Meditations for Orchestra”). L’acustica riverberante della basilica dona una nuova veste ai suoni e si dimostra una location più che adeguata per una musica generalmente esclusa da certi luoghi. Il minimalismo entra in chiesa. Miracoli di Angelica.

Daniele Follero

Ph Margherita Caprilli

  1. Michael Pisaro + Reiner Van Houdt
  2. Fred Frith
  3. Spunk

2505_021205_012205_03

 

Condividi