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ALAN PARSONS LIVE PROJECT

Firenze | Teatro Obihall | 27 marzo

The Greatest Hits Tour, l’inequivocabile nome dato alla ultima tournée europea di Alan Parsons chiarisce fin da subito le intenzioni del celebre produttore. Dopo la fredda accoglienza ricevuta una decina di anni fa da A Valid Path, un disco di rottura rispetto al passato del Project, Parsons ha pensato bene di tornare sui propri passi. Che la gente abbia ciò che vuole, dice la prima legge del Pop. E così sia.

L’operazione nostalgia ha dalla sua un vantaggio, per quanto riguarda Alan Parsons Project. Sebbene la collaborazione tra Parsons e Woolfson risalga a quarant’anni fa e si sia conclusa da venticinque, l’attività live del Project è più recente, tanto da riuscire ancora a rappresentare una novità per molti. Se a questo si aggiunge la caratteristica variabilità dell’organico e l’indiscutibile qualità dei musicisti “arruolati” di volta in volta, i motivi di interesse non mancano.

Ed eccolo lì, dunque, Alan Parsons, 68 anni e una carriera imponente, a troneggiare dal palco di una Obihall stracolma, accompagnato dai suoi nuovi compagni di viaggio.

Con l’eccezione del cantante PJ Olsson e del tastierista Manny Focarazzo, membri decennali del nuovo Project post-Woolfson, i cinque ottavi della line-up sono rappresentati da facce (relativamente) nuove. Il ruolo di chitarra solista è affidato ad Alastair Greene, musicista dalla chiara vena blues; alla batteria Danny Thompson, forma una sezione ritmica dall’impronta molto rock insieme al basso di Guy Erez. Ad alternarsi al canto con Olssen, Parsons e Greene, invece, sono il saxofonista Todd Cooper e il chitarrista Dan Tracey.

Lo show che stiamo portando in giro è basato principalmente sui grandi successi. Ci stiamo concentrando sul sound e sulla performance, più che su maiali volanti, laser, fumo e specchi”, mi ha detto Parsons in una recente intervista (che sarà pubblicata nel n. 416 di Rockerilla). E, in effetti, se si esclude la presenza di qualche laser e di un utilizzo dinamico delle luci, il palco si presenta essenziale, senza “distrazioni” che possano distogliere il pubblico dalla musica, unica protagonista.

La partenza, con I Robot, risulterà uno dei momenti più belli di tutto il concerto, ma non sarà l’unico, complice una scaletta capace di dare un’immagine a tutto tondo della storia del Project. Nessuna concessione ai lavori successivi al 1990 (Freudiana incluso), eccezion fatta per il nuovo singolo Do You Live at All. L’album più presente in assoluto è The Turn of a Friendly Card, di cui, oltre alle celeberrime Time e Games People Play, viene eseguita anche l’intera Suite da cui prende il nome l’album, pubblicato nel 1980. Assente ingiustificata, Mammagamma, unica hit inspiegabilmente esclusa. Stessa sorte è toccata ad uno degli album più belli del Project, Pyramid.

Gran finale senza sorprese, con il medley Sirius/Eye in the Sky a chiudere prima del bis, con il pubblico che, dopo essersi trattenuto per due ore, si alza in massa dalle sedie per avvicinarsi al palco. Prima di salutare definitivamente le 1500 persone che hanno affollato il teatro, c’è tempo per un solo bis, che significativamente torna al punto di partenza. A quel Tales of Mystey and Imagination dedicato all’opera di E.A. Poe, da cui era cominciato tutto.

Alla fine, tutti contenti. Soprattutto Parsons, che alla sua veneranda età e senza sforzarsi più di tanto da ormai parecchi anni, continua a riempire teatri e palazzetti.

Daniele Follero

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