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AFTERHOURS | Milano

| Alcatraz | 24 marzo

 

Chissà se in un angolino dell’Alcatraz, nel corso della trionfale due giorni milanese, Manuel Agnelli avrà intravisto fra le migliaia di facce anche quella di Glicine del Cosmo, signore del cielo e della terra e degli spazi siderali, pittore, scultore, attore, giornalista, grafico, critico, musicista, musicologo, discografico, manager, perito chimico quasi filosofo, papà, fidanzato e pessimo cuoco. Insomma, quel personaggio un po’ strambo (coscienza in prosa dello stesso Agnelli?) che in un celebre racconto del Nostro non andava giù per il sottile: «Lo capisci vero Manuel che non combinerai mai un cazzo?». E invece, signori, Agnelli ce l’ha fatta. A dire il vero ce l’ha fatta già da un po’, però le due debordanti date all’Alcatraz sono servite a mettere ulteriori puntini sulle parole scritte in piccolo di una storia, quella degli Afterhours, che è per naturale trasposizione anche la storia artistica di Manuel Agnelli.

 

Sui due concerti milanesi ci limitiamo all’essenziale e soprattutto a parlare della prima serata, quella che ha visto la band surfare tra vecchio e nuovo, tra i classici di un repertorio mai passato di moda (con incursioni persino in “Germi”) e le ultime cose di “Padania”, il disco che è arrivato a fregiarsi persino del Premio Tenco – destino curioso per un album non proprio bellissimo, per non dire bruttino; ma se è vero l’assioma secondo cui “chi vince ha sempre ragione”, allora incassiamo il torto e andiamo avanti. Dicevamo della serata all’Alcatraz. Davvero potente la presenza scenica di un Agnelli bravo e ottimamente supportato da un gruppo che ormai si conosce a memoria. Carina l’idea di rifare tutto “Hai paura del buio?” seguendo la scaletta originaria, carina l’idea degli abiti vintage e dei vestitini femminili per puntellare la parentesi dedicata a “Germi”, carina l’idea di suonare rock senza orpelli inutili e limitando persino la parte scenografica a luci appena appena accettabili per gli standard del 2014. Gli Afterhours di oggi suonano un rock favoloso, e Agnelli alla soglia dei 50 anni (ancora da compiere, è un classe 1966) possiede una voce che non è caricatura di quella dei bei tempi.

 

Gli Afterhours restano la locomotiva di un movimento che negli ultimi 20 anni ha perso/aggiunto/rinnovato vagoni ma che fatica a trovare nuove aspiranti locomotive. Perché se è vero che oggi, Agnelli, si è potuto permettere il lusso di rifare un album storico (e universalmente riconosciuto come tale, parliamo del già citato “Hai paura del buio?”), è altrettanto vero che il ricambio generazionale attorno a loro è stato in termini qualitativi al di sotto delle attese. Di cose carine ne sono uscite tantissime, ma spesso sono rimaste eccezioni in percorsi poi anonimi o sopravvalutati.

 

Di contro c’è da capire anche quale sarà il futuro degli Afterhours. Perché il successone fatto registrare all’Alcatraz ha sì decretato l’eccellente stato di forma di un gruppo già rodato, ma è anche vero che parliamo di una band che ha concluso un percorso e che mai come adesso è chiamata a reinventarsi. Perché il Festival di Sanremo è già stato fatto, il Premio Tenco non ha neppure la polvere sopra da quanto è recente, la soddisfazione di aver sentito Mina cantare gli Afterhours è già stata presa, in America ci hanno suonato e ora si sono giocati pure la carta di rifare il disco che li ha consacrati. Quindi cosa resta da fare? Quali sono le sfide nuove di questi Afterhours non più giovanissimi ma essenziali per una scena asfittica? Chiudersi in studio, sfornare un disco e riempire alla prima occasione di nuovo l’Alcatraz? Chissà. Forse sarebbe una sfida abbastanza… comoda, banale, inutile.

 

Ci permettiamo invece un’idea. Avesse voglia di farsi crescere un bel barbone ieratico e avessimo dei discografici vagamente illuminati, Manuel Agnelli sarebbe un perfetto Rick Rubin italiano, cioè un produttore e un valorizzatore di talenti unico – vedi alla voce Massimo Volume, Verdena, Cristina Donà, Marco Parente. Quindi perché non riprovarci, Manuel? Tanto per riempire un altro Alcatraz c’è sempre tempo… 

Francesco Casuscelli

ph Francesco Casuscelli

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