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ADIEU GIANMARIA

Una malattia incurabile s’è portata via Gianmaria Testa: poeta della canzone d’autore, uomo di sostanza, senza fronzoli, capace di raccontare storie con il pudore che deve schermare l’artista senza impedirgli schiettezza. Da musicista essenziale, aveva la capacità di dare volto alle storie. Ecco la differenza che Gianmaria metteva tra sé e quasi tutti gli altri cantautori. Sarà che aveva fatto il capostazione e di volti ne aveva visti tanti passare, sarà che le storie le aveva lette negli occhi della gente, sta di fatto che le canzoni e i dischi di Testa erano e restano viaggi, avventure malinconiche nel cuore del vivere, nel gorgo fondo dei sentimenti di ordinaria umanità.

Rimbalzato a noi dalla Francia, che l’ha scoperto prima, paragonandolo a un Brassens dai baffi giovani, Testa anche per noi Italiens è stato un caso da decifrare, poi uno scrittore di canzoni da accogliere e rispettare. Nella sua breve vita è stato un irregolare, amaro e convincente. Almeno quanto il disco che ci piace ricordare ad esempio, Da questa parte del mare, che è anche il titolo del suo libro che uscirà il prossimo 19 aprile per Einaudi.

Un album-elegia sui nostri tempi, sul mondo dell’emigrazione e di chi, clandestino o no, muove passi incerti e decisi su una terra straniera, spesso ostile.

Dischi ne ha fatti diversi Gianmaria Testa, alcuni straordinariamente toccanti come Altre latitudini, Vitamia: asciutti, intimisti, perfettamente orditi nel raccontare le cose della vita. Ma a noi piace ricordare Gianmaria per le parole, i concerti, quel suo garbato modo di mettere insieme senso e poesia, accordi scabri e versi che vanno sempre al dunque. Anche l’ultimo concerto sentito, un paio d’anni fa, ce l’aveva inquadrato al meglio: poetico, essenziale. Gianmaria l’aveva permeato sulle parole, le sfumature degli accordi della sola chitarra. Del resto non gli serviva altro per cantare il disequilibrio, la volatilità del pensiero, e andare al fondo dell’intimità. Da chansonnier aveva raccontato il suo rapporto con Pascoli, con l’amico Battiston, con cui aveva condiviso uno spettacolo teatrale sulla disoccupazione, con il maestro Paco Ibáñez che gli aveva insegnato a guardare le poesie da un’altra angolazione. E tra una canzone e l’altra aveva ricordato lo specchio di finestra, nel suo ufficio da capostazione, da dove, una sera qualsiasi, aveva scorto la luna più bella che avesse mai visto. È la disposizione d’animo che a volte cambia i ricordi, le immagini, e Gianmaria era capace di cogliere quei piccoli turbamenti dell’anima che gli consentivano di raccontare anche l’indimenticabile. Nel suo cercare, lavorando per sottrazione, sino all’osso delle canzoni, Gianmaria Testa è sceso alla dimostrazione dell’uomo, un po’ come De André. Non a caso, qualche volta, in concerto, azzardava il rammarico di Hotel Supramonte.

Ugo Bacci

 

 

 

 

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