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AC/DC A REGGIO EMILIA – IL REPORT

AC/DC
RCF Arena – Reggio Emilia
25 Maggio 2024

Sono talmente smisurati la fama e il rispetto che il popolo del rock nutre nei confronti degli AC/DC, ormai da decenni nell’Olimpo degli intoccabili, che ormai il bagno di folla è assicurato ad ogni mossa della band. Si aggiungano l’attesa e l’aspettativa creata dalla sosta forzata per il covid, che ha, di fatto, “ritardato” a data da destinarsi il tour a supporto di Power Up, e risulterà molto più semplice comprendere il sold-out di Reggio Emilia, nonostante i circa 100.000 biglietti messi in vendita.
Sono passati nove anni dall’ultima volta degli AC/DC in Italia e poco è cambiato dal concerto di Imola: stesso pubblico, stessa folla oceanica, scaletta molto simile, con poche eccezioni, stesso sound, inconfondibilmente compatto, stessi protagonisti (o quasi) e la generosità di sempre di una band che, sul palco, ha dato sempre fino all’ultima goccia di sudore, premiata dalla devozione di un pubblico che, anche stavolta, si è dimostrato fedele. E a questo punto viene da chiedersi: quanto viene premiata, questa fedeltà, da una location che permette solo alla metà degli spettatori di guardare in maniera decente il concerto? Ha senso mettere insieme centomila persone di cui la metà, pur pagando cifre esorbitanti, diventa un mero corollario coreografico per le foto dall’alto? Sarebbe troppo pretenzioso organizzare due date permettendo a tutti di godersi il concerto senza essere costretti a guardare nei maxi schermi (peraltro con l’audio leggermente sfasato rispetto alle immagini) per capire cosa sta succedendo? Una parte del pubblico relegato nelle retrovie sembra non preoccuparsi più di tanto: l’idea di partecipare all’ “evento” basta di per sé a giustificare tutto. Così che a tratti, tra corna luminose e telefonini alzati al cielo, sembra di essere a un concerto di una boy band.
Per fortuna c’è la musica e, sotto l’aspetto performativo gli AC/DC, nonostante il tempo che passa inesorabile, sono riusciti a mantenersi vivi e credibili, dimostrando, al di là di gadget, marchi, mode ed eventi, di essere ancora una vera band. Certo, la voce di Brian Johnson è giunta ormai da anni al capolinea, riducendosi ad una sorta di rantolo che del timbro originale conserva solo un accenno. E si ha addirittura la netta impressione che si senta più a suo agio con i brani che cantava Bon, forse perchè richiedono quella dose di teatralità (caratteristica del primo cantante) capace di sopperire ai limiti della voce, laddove la maggiore estensione richiesta dalle canzoni di Back in Black sembra metterlo in seria difficoltà. Angus, invece, sebbene non sia più il forsennato di una volta e il suo celebre passo dell’oca sia rimasto ormai un lontano ricordo di gioventù, ha le mani di sempre che, anche se un po’ stanche, riescono ancora a trasmettere le emozioni di un tempo.
Sono loro i due sopravvissuti. Ad accompagnarli l’ormai fido nipote Young, Stevie, il batterista Matt Laug, “rubato” a Vasco Rossi e Chris Chaney, scelto per sopperire al forfait di Cliff Williams.
Quando i cinque salgono sul palco non è ancora calato il sole e dopo pochi minuti, con la luce del tramonto che si irradia a ovest, l’aria si è già fatta elettrica sulle note di If You Want Blood e Back in Black. Con l’eccezione  dell’ordine d’esecuzione dei brani, il pubblico sa già benissimo cosa aspettarsi. I tre quarti delle scalette degli AC/DC sono ormai da decenni occupati da brani immancabili, che con il passare del tempo hanno consolidato la loro posizione di irremovibili: Hell’s Bells, Highway to Hell e la sua campana, Shot Down in Flames, Thunderstruck, You Shook me All Night Long, Shoot To Thrill, Dirty Deeds Done Dirt Cheap, High Voltage, Whole Lotta Rosie, T.N.T., e i colpi di cannone della conclusiva For Those about to Rock (We Salute You) . Con qualche piacevole sorpresa. Riff Raff è la chicca della serata e fa venire voglia di riascoltare Powerage, uno degli album più clamorosamente sottostimati dell’intera storia della band. Al netto dell’ottimo lavoro della sezione ritmica e della seconda chitarra, artefici del sound roccioso e monolitico tipico degli AC/DC, è forse superfluo sottolineare che a tenere in piedi lo show è il piccolo grande Angus, l’unico a cadere sempre in piedi. E’ lui a metterci l’elettricità, ancora capace di provocare scosse ad alto voltaggio. Il suo lungo assolo in coda a Let There Be Rock è una delizia e conferma una verità sacrosanta: fino a quando lui vorrà e potrà, gli AC/DC risponderanno all’appello.

Live Report di Daniele Follero

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